Dopo ormai due anni pieni di pandemia Covid-19, è indubbio che l’azione dei vaccini abbia in parte smorzato la letalità e la virulenza del Sars-CoV-2: purtroppo non ha impedito né il contagio né comunque numeri comunque alti per ricoveri e decessi. Il motivo è purtroppo dettato dalla recrudescenza della varianti, tanto che da tempo ormai si cerca di studiare un tipo di vaccino che possa essere “universale” contro qualsiasi tipo di variante presente o futura.
I vaccini – specie quelli a mRna come Moderna e Pfizer – sono progettati per riconoscere parti della proteina Spike del virus Sars-CoV-2 originale: con le varianti che presentano più mutazioni nella Spike però, come Delta e soprattutto Omicron, riescono a eludere meglio la protezione. Le aziende stanno studiando un vaccino aggiornato con l’Omicron ma ora che sarà in commercio potrebbe anche essere superata da una possibile variante successiva: per questo ci si concentra sempre di più nei laboratori più specializzati al mondo nello studiare un vaccino “pan coronavirus” in grado di offrire protezione oltre che su Sars CoV-2 anche su tutti i coronavirus umani conosciuti. Come scrive bene oggi il focus del “Corriere della Sera”, «L’obiettivo è ambizioso, ma potrebbe essere risolutivo perché il grande vantaggio di questi vaccini è che permetterebbero di gestire non solo nuove varianti, ma anche nuovi coronavirus che potrebbero emergere con altri salti di specie».
VACCINO SPRAY NASALE: A CHE PUNTO SIAMO
Il virologo consigliere della Casa Bianca per l’emergenza Covid, Anthony Fauci ha spiegato nel merito come «Ci vorranno anni affinché questi vaccini vengano sviluppati, ma sono necessari approcci innovativi per indurre una protezione ampia e duratura contro i coronavirus noti e quelli ancora sconosciuti». Per lavorare ad un unico vaccino “universale” occorre prima di tutto considera le regioni genetiche del virus dove vi siano poche mutazioni: in questo senso, la California Institute of Technology con la biologa Pamela Björkman sta mettendo a punto da mesi uno studio simile: un vaccino composto da più parti del virus (testato finora sui topi) «stimolerebbe la formazione di anticorpi bloccando infezioni causate da diversi virus simili alla Sars, compresi ceppi che non sono stati utilizzati per creare il vaccino». A breve cominceranno i test sull’uomo dato che i risultati sembrano molto incoraggianti, in quanto il sistema immunitario delle cavie ha imparato a riconoscere le caratteristiche “comuni” dei coronavirus e a rispondere di conseguenza. Oltre ai risultati sorprendenti in arrivo anche dal vaccino sperimentato dall’esercito americano – chiamato Spik Ferritin Nanoparticle (SpFN) – importanti evoluzioni arrivano anche dai vaccini a spray nasale studiati soprattutto dall’Università di Yale: l’immunologa Akiko Iwasaki, che coordina la ricerca, al “Corriere della Sera” spiega come funziona l’immunità delle mucose indotto dallo spray. «Il bello di questo vaccino è che non solo fornisce un’importante protezione, ma l’immunità è di lunga durata e cellule T e B rimangono sulla superficie della mucosa», conclude la studiosa.