Istat ha presentato i dati provvisori relativi a occupazione e disoccupazione in Italia a dicembre 2021. Il tasso di occupazione è stabile al 59%, con nessuna variazione rispetto al mese scorso (circa 1.000 occupati in più su 22 milioni…). La variazione del tasso in questo trimestre rispetto a quello precedente è di 0,4 punti, mentre rispetto allo scorso anno è di +1,9 punti. La progressione nel tempo fa capire che la crescita occupazionale si sta fermando. Salvo smentite dei dati di gennaio 2022, ancora da rilevare, siamo a un punto stazionario.
Nessuna sorpresa: anche osservando, come abbiamo fatto, i dati destagionalizzati, dicembre non è un mese di grandi assunzioni, mentre lo è, di solito, il mese di gennaio. Sappiamo bene che sia dicembre 2021 che gennaio 2022 sono stati comunque condizionati dalla pandemia; anche se le restrizioni sono state rilassate rispetto all’anno precedente, il grande numero di malati e di persone in quarantena ha comunque avuto un impatto sulle attività economiche.
A saldi occupazionali invariati non resta che vedere cosa si muove sotto l’apparente stazionarietà. Su base mensile il tasso di occupazione delle donne è aumentato di 0,3 punti (quindi calano gli uomini di 0,3 punti). Su base annuale il tasso di occupazione cresce di 1,2 punti per gli uomini e di 2,5 per le donne.
Rispetto al mese scorso continua il travaso fra indipendenti e dipendenti: -51.000 dipendenti e +52.000 dipendenti, -7.000 occupati permanenti e +59.000 a tempo determinato. Sempre a dicembre rispetto a novembre ci sono 53.000 occupati over 50 in meno e 47.000 under 35 in più.
Il recupero rispetto a dicembre 2021 è stato buono, ci sono 540 mila occupati in più, molti dei quali dipendenti a termine (+434.000).
Il tasso di disoccupazione è in calo, e raggiunge il 9%, rispetto a dicembre del 2020 calano sia i disoccupati che gli inattivi (quelli che non lavorano, non cercano lavoro o non sono disponibili a lavorare nelle due settimane successive).
Come leggere questi dati? Istat, nella sua comunicazione, osserva che “rispetto al periodo pre-pandemia (febbraio 2020), il tasso di occupazione è tornato allo stesso livello (59,0%), mentre il tasso di disoccupazione, al 9,0%, è ancora inferiore di 0,6 punti e quello di inattività è salito dal 34,6% al 35,1%”.
Il tono della nota è positivo, come peraltro lo sono i dati, ma non possiamo pensare che si sia tornati ancora a livelli pre-pandemia. Il tasso di occupazione è tornato dove stava a febbraio, ma non il numero degli occupati: erano 23 milioni e 32 mila a febbraio 2020, sono 22 milioni e 746 mila a dicembre 2021, mancano ancora 286 mila occupati alla conta. Il tasso di occupazione è tornato ai livelli pre-pandemia per via dell’invecchiamento demografico (il tasso è il rapporto fra occupati tra 15 e 64 anni e il relativo numero di persone di quella fascia di età).
Che dire poi di disoccupati e inattivi: sono ancora tanti, troppi. Si tratta di capire se siano ancora da attribuire alla quarta ondata della pandemia o se si tratti di una perdita di slancio della crescita che precede un massimo occupazionale relativo nel breve periodo.
Il sistema soffre di uno skill shortage spesso lamentato dai datori di lavoro, che dovrebbe avere impatto anche sulle dinamiche di mercato. Il passaggio dal lavoro autonomo al lavoro dipendente potrebbe essere frutto di processi di stabilizzazione di partite Iva mono cliente, ma la crescita incentrata prevalentemente sul lavoro a termine non è un segnale di accresciuto potere contrattuale della forza lavoro.
Anche le informazioni sui salari contrattuali pubblicate il 31 gennaio (i dati occupazionali sono usciti il primo febbraio) non mostrano segnali particolari di tensione: i salari contrattuali sono saliti dello 0,6%, stesso dato del 2020 e ben al di sotto dell’inflazione.
La strada verso un vero miglioramento del mercato del lavoro è ancora lunga. Le politiche attive previste dal Pnrr sono più che mai necessarie.
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