“Un uomo vide che il presente non era l’estremo limite del passato, ma l’estremo limite del futuro. E che il presente non è solo il successore di ieri, ma che ne è l’erede. E che bisogna cogliere il presente nel presente stesso, e non attendere un pochino, perché è proprio questo pochino che fa sì che non si abbia più il presente. Che l’oggi è l’oggi, un certo essere proprio”.
È Péguy, nella sua Nota su Cartesio, a restituirci con queste parole il gusto del presente! Il testo ha più di un secolo, ma di fronte al gap generazionale nel quale anche oggi viviamo non possiamo non interrogarci sul valore del tempo che stiamo attraversando e di coloro che in questo tempo sono “presenti”. Perché la verità è che stiamo rischiando di perdere i giovani, che siano i nativi digitali (adolescenti o poco più che ventenni) o i più maturi millennials. È sempre più difficile intercettarli nelle domande che hanno e nel valore che rappresentano. E come conseguenza è sempre più arduo accompagnarli e farne dei reali eredi.
Una recente analisi di Alessandro Rosina sottolineava che l’Italia è sempre più un paese “vietato ai giovani”. “Il rischio maggiore che sta correndo l’Italia è trovarsi nei prossimi anni senza la risorsa più preziosa, senza giovani ben preparati”. E concludeva: “Dal 2005 al 2020 il peso degli under 35 sulla popolazione attiva è diminuito di 5 punti percentuali, ma quello sugli occupati si è ridotto del doppio. L’efficacia di quanto verrà realizzato con i finanziamenti di Next Generation Eu va allora misurata sula capacità di mettere il capitale umano delle nuove generazioni al centro dello sviluppo sostenibile, inclusivo e competitivo del Paese”.
Molte volte sembra quasi che la diversità dei più giovani o anche il disagio che loro stessi vivono nei confronti degli adulti ci faccia paura. Sembra perfino paradossale: è come se fossimo contagiati dalla paura dei giovani! Ma cosa riusciamo a mettere in campo davanti al loro disagio?
Scriveva recentemente Mauro Magatti: “Nel mondo giovanile – un universo variegato che si estende dagli adolescenti fino ai 30-35enni – si va diffondendo la sindrome del ritiro dal mondo. Dagli adolescenti che col lockdown hanno introiettato una sorta di paura nei confronti dell’altro e del mondo esterno fino ai ragazzi più grandi che non lavorano e non studiano perché intrappolati in un vuoto da cui non riescono ad uscire”.
Diversi da noi, ipertecnologici, assorbiti da quel mondo digitale che li occupa ma non li appaga, bisognosi di gridare le proprie domande davanti a qualcuno che non ne abbia paura. Talmente alla ricerca di sé da riuscire perfino, come in una canzone di Madame e Marracash, ad immaginare un dialogo con la propria anima “sei l’anima, sei la mia metà, come sei fatta nessuno lo sa, cerca dentro te e saprai”.
Il presente e il futuro hanno bisogno dei giovani e i giovani hanno terribilmente bisogno di uscire dal “ritiro”: questa è la sfida drammatica di oggi. Una sfida che dobbiamo avere il coraggio di chiamare con il suo nome, è una sfida educativa! Scriveva Julián Carrón nel 2020: “è difficile immaginare una sfida più grande di quella educativa. Lo sconcerto domina, infatti, dappertutto per la vertigine che sperimentano gli adulti (genitori e educatori) e i giovani. Mai come in questi tempi è stata così pregnante l’espressione emergenza educativa”. E aggiungeva: “Le difficoltà debordano da tutte le parti. Regole e istruzioni per l’uso si rivelano ogni giorno più incapaci di suscitare l’io, di destare il suo interesse fino a coinvolgerlo in un cammino che lo faccia crescere. Solo uno sguardo pieno di stima può essere più efficace di qualunque altra cosa”.
Stima per che cosa? Per l’unica risorsa che nessuno mai potrà strapparci di dosso, il nostro desiderio. Quanto più avremo il coraggio di amarlo in noi, tanto più potremo stimarlo nei giovani. E allora ritroveremo anche il gusto e l’entusiasmo di cercare strumenti, occasioni e opportunità. Il gusto di discernere le modalità più utili per la formazione, per la trasmissione delle conoscenze e delle competenze. Il gusto di essere adulti oggi.
E se fosse proprio l’amore ai nostri figli, il desiderio di un bene per loro, a rimetterci in moto per cercare qualcosa o qualcuno capace di risvegliare il desiderio innanzitutto in noi? Una scommessa imprevista, ma forse non così distante dalla realtà.
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