In una fase, come la presente, in cui molte delle cosiddette certezze che hanno attraversato due anni di pandemia sembrano messe in crisi dai fatti (e cioè da Omicron), leggere il memoriale di Scott Atlas (A Plague upon our House. My fight at the Trump White House to stop Covid from destroying America, Bombardier Books, 2021) dei mesi trascorsi alla Casa Bianca come consulente indipendente delle politiche sanitarie del Governo federale può essere particolarmente istruttivo. Lo era già qualche settimana fa, quando è stato pubblicato negli States e, stando ad Amazon, era tra i bestseller in materia sanitaria. Lo è ancor di più oggi. Perché può aiutare a valutare in prospettiva ciò che è accaduto – e sta accadendo – in giro per il mondo sul fronte della lotta al Covid. E può aiutare ad allargare l’orizzonte di riflessione al di fuori dei confini cui ci vorrebbe confinare la comunicazione attorno alla pandemia che si fa in Italia.
Insomma, in una fase dove, dal 26 gennaio, il Regno Unito è tornato alla più perfetta normalità, dove negli Usa gli obblighi vaccinali federali sono stati dichiarati incostituzionali e rimessi alla valutazione dei singoli Stati (che si guardano bene dall’introdurli, dovendo rispondere con una certa frequenza ai loro elettori, come avviene nei paesi normali), dove in tutta Europa i vari green pass vengono rimossi con una velocità sbalorditiva (a parte, chissà perché, Italia e Francia), la cronaca che di quei mesi si trova nel libro di Scott Atlas getta dubbi ulteriori sulle ricette che sono state applicate per il contenimento e la gestione del virus. E dovrebbe indurre a qualche ripensamento su quello che sta avvenendo in Italia, sulla base dell’antico adagio per cui da sempre le cose avvengono prima negli Usa, e poi nel resto del mondo.
Innanzi tutto chi è Scott Atlas? Per farla breve, diciamo che è da sempre uno dei massimi esperti americani di politiche sanitarie, fa parte della Hoover Istitution di Stanford, e ha un’esperienza di politica e sanità di fronte al quale il profilo dei molti divulgatori/comunicatori televisivi che ci hanno accompagnato in questi anni di pandemia deve cedere educatamente il passo. In più è un ricercatore che da anni si occupa di sanità pubblica ai massimi livelli, impegnato, allo scoppiare della pandemia, nella stesura di un libro sulla riforma del sistema sanitario Usa, dopo il sostanziale fallimento della riforma Obama (Restoring Quality Health Care: A Six-Point Plan for Comprehensive Reform at Lower Cost, Hoover Press, 2020, 2nd ed.).
Non è, insomma, un medico prestato alla politica o alla televisione, che confonde i due piani e non si rende conto delle implicazioni di ciò che occasionalmente può dire, ragionando da clinico. È un esperto indipendente consapevole degli effetti politici di ciò che si dice in ambito scientifico: e cioè della difficoltà di traslare con equilibrio dal piano medico-scientifico al piano politico certe acquisizioni che, se vogliono dirsi scientifiche, devono sempre essere problematiche. Perché curare un individuo non è gestire una società. E la logica della terapia individuale non è la logica della gestione politica di una collettività. Neanche se si fa passare la curiosa idea che una collettività sia un “gregge”.
Ed è, soprattutto, Scott Atlas, un ricercatore che, fino al 1° dicembre 2020, è stato chiamato a far parte della Task force istituita dal Governo federale nel 2020 per la gestione della pandemia, per controbilanciare figure che stanno negli apparati di Governo Usa da 40 anni come il più noto (da noi) Anthony Fauci, e la meno nota (sempre da noi) Deborah Birx: data in cui ha rassegnato le dimissioni dal Gruppo di lavoro, dopo le ultime presidenziali. Ha visto i conflitti personali e di interessi tra i componenti di quella Task force. E ne ha sperimentato i risultati discutibili, a partire dall’efficacia dei lockdown Usa del 2020.
A Plague upon our House, insomma, è un libro interessante, che dovrebbe essere tradotto in Italiano, perché racconta una storia diversa da quella che è stata narrata in Italia sulla gestione della pandemia. È una storia che in realtà mette in luce le drammatiche interazioni tra politica e medicina. E siccome la politica oggi dipende più che mai dalla comunicazione, mette in luce le altrettanto drammatiche interazioni tra medicina e informazione, quando la medicina si fa politica. Del che abbiamo una prova tutte le volte che accendiamo la televisione.
È, se si vuole, una versione pandemica di Mister Smith va a Washington. Solo che stavolta Mister Smith se ne va da Washington, perché incompatibile con la logica dei burocrati che occupano lo stesso posto da decadi. E che su quel posto hanno costruito carriera e fortuna personale.
Del resto, che in Usa – diversamente da quanto ci si racconta – le politiche sanitarie di Fauci e della Birx siano tutt’altro che merce accettata – come da noi – sembra dimostrato, se non altro, dal trattamento che lo stesso Fauci ha ricevuto in Audizione al Senato lo scorso 11 gennaio dai senatori di parte Repubblicana. E che ha avuto un’eco vastissima nel Paese, a soli pochi giorni dalla decisione della Corte Suprema sui mandati federali di vaccinazione. Tant’è vero che oggi il dibattito negli Usa è sull’obbligo di mascherina e non sull’obbligo di vaccinazione, o sul green pass a punti come in Italia. E si discute semmai dell’opportunità di riammettere i medici non vaccinati nelle strutture sanitarie che ricevono soldi dal Governo federale. Non su come togliergli lo stipendio.
Perché, ci dice Atlas nella sua introduzione al volume (p. 4), la gestione complessiva del Covid da parte della Task force guidata da Fauci un effetto negli Usa l’ha avuto: quello di incrinare in modo profondo la fiducia nel governo, nelle istituzioni sanitarie, nella scienza. E incrinare, alla fine, la fiducia reciproca dei componenti del “gregge”. E di distruggere le strutture sociali e politiche di un Paese dove comunque ci sono politici che possono piacere o non piacere, ma che ci ricordano che il costituzionalismo è stato inventato non per limitare i diritti delle persone, ma per limitare i poteri del Governo. Un’idea, questa, che non ha mai attecchito in un paese a cultura burocratico-amministrativa come è l’Italia.
L’idea di Atlas, invece, è sempre stata semplice: anziché imporre lockdown generalizzati disastrosi per l’economia, per la società, e per la vita delle persone, puntando ad una (impossibile) eradicazione del virus, meglio sarebbe stato concentrarsi sulla tutela dei fragili all’interno di ciascun paese, secondo una linea di “protezione focalizzata”, molto simile a quella riprodotta nella Great Barrington Declaration e mai arrivata nel dibattito italiano. D’altronde si sa che gente di Harvard, Oxford, e Stanford non può tenere il passo rispetto ai nostri divulgatori televisivi. Per Atlas questi sono stati due anni in cui fatti ed evidenze scientifiche sono stati messi da parte, dalle mascherine alle scuole chiuse, fino ai lockdown. E continuano ad esserlo in spregio alle fondamentali nozioni che si apprendono al secondo anno di medicina, sommerse da un profluvio di dati, diagrammi e statistiche ciascuna delle quali è controvertibile. E continuano ad esserlo – sempre secondo Atlas – con gli obblighi vaccinali, sebbene sia evidente a tutti che i vaccini non impediscono l’infezione, e che i vaccinati continuano a infettare. Però con autorizzazione statale. Per non parlare dell’idea di vaccinare chi non è significativamente a rischio, come bambini, adolescenti e i guariti dal Covid. Sappiamo quale è stata la linea adottata in Occidente. Oggi resa obsoleta da Omicron.
Al di là del suo aspetto cronachistico, quello che il libro di Atlas mette in luce, con dovizia di particolari, è che la scienza, nonostante quello che si ripete sistematicamente, non è mai politicamente neutrale. È, semmai, uno strumento di legittimazione del potere politico. Perché il potere, quando fa riferimento alla scienza, non fa riferimento a verità incontrovertibili. Prende un’opinione scientifica e ne fa un sapere ufficiale che gli serve per legittimarsi, in un gioco di specchi vecchio come il mondo. Non si spiegherebbe altrimenti perché certi vaccini siano vaccini in certe parti del mondo e in altre no. Non si spiega perché, in certe parti del mondo, il Covid venga curato in un modo, e in altre parti in un altro (e in altre ancora non venga curato affatto). Non si spiega perché, nelle sue regole di gestione e contenimento, il Covid inglese sia diverso dal Covid tedesco; il quale a sua volta è diverso dal Covid francese; il quale ancora è diverso dal Covid italiano.
Perché, piaccia o non piaccia, quando decide (o dice di decidere) sulla base della scienza, il potere, che sia legislativo o amministrativo, non fa niente di diverso dal solito. Solo che in questo caso il potere, anziché esporsi per porre una regola, seleziona l’esperto (o l’opinione) che gli serve per legittimare la regola che vuole porre. E per rivestirsi di un’oggettività che non gli spetta. Come dimostra la diversità di misure e strategie in Europa e in Usa, dove i guariti non sono equiparati ai vaccinati (con una, due, tre dosi), mentre in Europa lo sono.
E allora è chiaro che delle due l’una: o la scienza che vale in Gran Bretagna non è la stessa scienza che vale in Usa; e quella che vale in Usa non vale per l’Italia. Oppure, se la scienza è la stessa, è diversa l’opinione cui si appoggia chi ha il potere di decidere.
E allora si capisce che “la scienza” che ci viene venduta come tale non è altro se non una “opinione scientifica” da chiamare in causa per giustificare una linea, esattamente come fa un consulente di parte in un processo. Che è certo portatore di un sapere, ma non di verità incontrovertibili, che diventano o false o surreali appena si passa un confine.
E non ci dovrebbe essere bisogno di ricordare che i Governi in carica sono sempre e solo espressione di una parte politica. Così come non ci dovrebbe essere bisogno di ricordare che i suoi consulenti non sono altro se non – nel migliore dei casi – consulenti di parte, scelti dalla politica, che per questo fanno politica. Solo che la fanno in un altro modo, come ci spiega bene la lettura del libro di Mister Smith/Scott Atlas.
Il quale, al di là delle opinioni, offre un’ottima descrizione dei modi attraverso i quali si svolge realmente il rapporto tra scienza e potere politico. E ci dimostra, se non altro, che la vecchia classificazione gerarchica delle forme di potere di Max Weber (potere economico/potere tecnico-scientifico/potere politico) non sbaglia mai. Questo è il momento del potere tecnico-scientifico. Ma sempre potere è. Anzi, è burocrazia che si avvale della scienza per governare. Non scienza.
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