Ogni anno, puntuali come il giorno di San Valentino o il Giorno della marmotta, arrivano le polemiche sul Giorno del ricordo, ricorrenza istituzionalizzata nel 2004 per ricordare le migliaia di vittime delle foibe e l’esodo forzato degli italiani da Istria e Dalmazia. Basta poco per scatenare il fuoco di controbatteria dell’Anpi e, nella giornata di ieri, l’occasione per il tambureggiamento è stata una circolare del ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, firmato dal capo dipartimento Stefano Versari. Non si sa quanti abbiano letto il testo integrale della circolare. Ne riportiamo qui il brano centrale, evidenziando in corsivo il passaggio che ha scatenato il putiferio:
“Non si tratta – suggerisce Bauman – di sacralizzare, da un lato, o banalizzare, dall’altro, le deportazioni, gli orrori, i genocidi. Non se ne riduce in tal modo il portato di violenza, perché si rischia di non comprenderne le radici. Il ‘Giorno del Ricordo’ e la conoscenza di quanto accaduto possono aiutare a comprendere che, in quel caso, la ‘categoria’ umana che si voleva piegare e culturalmente nullificare era quella italiana. Poco tempo prima era accaduto, su scala europea, alla ‘categoria’ degli ebrei. Con una atroce volontà di annientamento, mai sperimentata prima nella storia dell’umanità. Pochi decenni prima ancora era toccato alla ‘categoria’ degli Armeni. Eppoi? Sempre vicino a noi, negli anni novanta, vittima è stata la ‘categoria’ dei mussulmani di Srebrenica… Non serve proseguire. Allo sconvolgimento e all’empatia per le vittime deve dunque associarsi il tentativo di riflettere sugli effetti della riduzione etica delle persone umane a ‘categorie’, perciò stesse dis-umanizzate”.
Pur ammettendo che, ben difficilmente, il testo di una circolare ministeriale può assurgere al livello di opera storica e che si sarebbe potuto far cenno anche alle migliaia di vittime dell’occupazione italiana in Jugoslavia, l’Anpi, con quella raffinata onestà intellettuale che da sempre la contraddistingue, non è stata a guardare troppo per il sottile richiedendo al ministero “urgenti lumi su questa comparazione (tra foibe e shoah, nda) che consideriamo storicamente aberrante e inaccettabile”.
Chi si leggerà il testo della circolare capirà che non erano questi il senso e l’intenzione del ministero e che estrapolare frasi per assolutizzarle è un giochino che le ideologie fanno da sempre.
Tuttavia, per non perdere l’occasione di un approfondimento il più possibile sereno, si può cogliere il destro per tentare di capire cosa sia la Storia e come possa essere rievocata e raccontata.
Un esempio preclaro è quello del professor Lutz Klinkammer, che ha avuto il merito di analizzare i crimini commessi dai nazisti in Italia e che ricordava una curiosa intervista. A un giornalista italiano che gli chiedeva che differenza vi fosse tra Fosse Ardeatine e foibe, l’arguto Klinkammer rispose che vi era più correlazione tra Fosse Ardeatine e l’eccidio di Debra Libanos, dove Graziani fece sterminare 1500 religiosi copti per rappresaglia all’attentato in cui era rimasto ferito nel 1937. Al che il giornalista, non sapendo cosa diavolo fosse Debra Libanos, deve aver fatto una faccia come quella di Fantozzi quando gli chiedono cos’è un anacoluto. Questo perché noi italiani non abbiamo mai avuto una nostra Norimberga per i crimini commessi dai nostri militari e ignoriamo tranquillamente gli eccidi in Libia, in Etiopia e, già che ci siamo, in Slovenia, Montenegro e un po’ in tutta la Jugoslavia. Celebre la frase attribuita al generale Robotti in un fonogramma del 1942:
“Chiarire bene il trattamento dei sospetti, perché mi pare che su 73 sospetti non trovar modo di dare neppure un esempio è un po’ troppo. Cosa dicono le norme della 3 C e quelle successive? Conclusione: si ammazza troppo poco!”
Orbene, cosa intende dire l’Anpi? Che a fronte di questi crimini l’uccisione bestiale di migliaia di italiani di ogni età sia giustificabile? O peggio, negare l’accaduto come si può leggere in molti siti giustificazionisti o negazionisti? Laddove si osserva come i negazionisti rossi abbiano ben imparato l’arte dei negazionisti (neri) dell’Olocausto: si finisce sempre per assomiglia a ciò che odiamo, fino a diventare sempre più simili al proprio nemico.
Viene alla mente la canzone di un grande poeta come Claudio Chieffo: “Nel mondo nuovo/ Che ora abbiamo creato/ C’è la miseria/ C’è l’odio ed il peccato/ Ora siamo tornati ad Auschwitz/ Dove ci è stato fatto tanto male/ Ma non è morto il male nel mondo/ E noi tutti lo possiamo fare/ Non è difficile essere come loro”.
Perché è proprio questa la lezione della Shoah che i nostri “fratelli maggiori” ebrei hanno dato al mondo intero: innanzitutto comprendere nella Shoah anche i milioni di prigionieri civili russi e polacchi e tante altre categorie, così che la cifra totale, aggiunta ai 6 milioni di ebrei assassinati dai nazisti, arriva a quasi 18 milioni di vite spezzate dalla barbarie hitleriana (cifre tratte da qui).
Perché non c’è differenza tra un bambino istriano buttato in una foiba e un bambino ebreo gettato nelle fosse di Babi Yar: Cristo è sempre stato accanto all’uno e all’altro. E ripartire dal “Signore del cosmo e della storia” come diceva la prima enciclica di Giovanni Paolo II, è, più che mai, l’unico punto di partenza plausibile.
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