I rumour su una possibile offerta di Unicredit ieri hanno fatto chiudere le azioni di Banco Bpm a +10% con la migliore performance di tutto il listino principale della borsa di Milano. Il mercato, evidentemente, ha ritenuto l’ipotesi possibile e le ragioni non mancano. Unicredit ha storicamente una quota di mercato nelle aree presidiate dalla ex Banca Popolare di Milano inferiore a quella del resto del Paese e potrebbe espandersi in un’area molto ricca di risparmio privato e di imprese. Unicredit negli ultimi anni ha dismesso tutte, o quasi, le sue fabbriche prodotto che invece Banco Bpm ha mantenuto. È una dote che potrebbe dare più flessibilità strategica al gruppo guidato da Orcel in un settore che rimane molto complicato.
Le filiali sono un costo fisso che diventa sempre più difficile da ripagare in un mondo in cui non è più necessario un luogo “fisico” per accedere ai servizi bancari, anche nel caso di un mutuo. I tassi di interesse, ampiamente inferiori all’inflazione, non aiutano “le filiali”. L’andamento dell’economia internazionale e italiana, che soffre molto più di altri la crisi energetica, è un incentivo a perseguire risparmi e sinergie. Per tutte queste ragioni l’ipotesi è stata immediatamente presa sul serio dal mercato.
Il settore bancario italiano deve affrontare la sfida dello “spread” e di una banca centrale che negli ultimi anni è stata vitale e che invece ora potrebbe cambiare strategia. Il consolidamento del sistema alla vigilia di una fase che comporta sfide e inietta incertezza e volatilità diventa probabilmente più urgente di quanto fosse lecito attendersi qualche mese fa. È molto più difficile portare in porto fusioni o operazioni di consolidamento in contesti di mercato caratterizzati da volatilità e con la pressione degli investitori. Questa improvvisa accelerazione potrebbe essere letta anche alla luce di un percorso che si è già fatto sentire dalle parti di spread e rendimento del decennale italiano.
Il settore bancario rimane strategico dal punto di vista del sistema Paese. Nonostante due decenni e passa di integrazione europea gli esempi di gruppi bancari pan-europei si contano, a fatica, sulle dita di una mano. Unicredit, che pure è uno dei pochissimi esempi, ha una presenza limitata all’Europa centro-orientale. Questo dato di fatto non è estraneo alla strategicità che il sistema bancario ha per ogni sistema Paese perfino dopo la creazione dell’euro; i difetti di costruzione dell’euro che generano la “mostruosità” dello spread all’interno della stessa area monetaria sono solo una delle ragioni di questa mancanza.
L’altra è che nessun sistema Paese vede di buon occhio l’attivismo di gruppi bancari esteri sul proprio territorio. Nemmeno l’asse franco-tedesco su cui si è retta l’Europa ha prodotto un gruppo bancario “franco-tedesco”; il mercato bancario francese è rimasto proprietà di gruppi francesi e lo stesso si può dire per la Germania e per la Spagna. L’Italia è un’eccezione per la presenza con quote significative di Bnp Paribas e di Credit Agricole; quest’ultima negli ultimi mesi sicuramente più attiva. Sono soggetti che potrebbero in teoria partecipare al consolidamento bancario italiano; le possibilità rimaste non sono esattamente numerose. Banco Bpm è una di queste e rappresenta comunque una parte significativa del sistema.
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