In attesa oggi di scoprire se Vladimir Putin intende realmente gettare alle ortiche qualche secolo di strategia militare e lanciare la moda dell’invasione on-demand, il Canada sta rivelandosi inquietante laboratorio sociale. Se infatti la situazione in Ucraina sta assumendo ora dopo ora i contorni del Grande Fratello ma in versione Canale 5, lo Stato della foglia d’acero sta inorgogliendo la memoria di George Orwell. I primi ministri delle Province di Alberta, Manitoba, Quebec e Saskatchewan hanno già preso ufficialmente posizione contro la decisione di Justin Trudeau di invocare l’Emergencies Act per stroncare la protesta dei camionisti, da lui definita non pacifica e quindi oggetto di emergenza nazionale.
Non la pensa così la Canadian Civil Liberties Association, istituzione certamente non tacciabile di preconcetto malanimo nei confronti del Primo ministro, poiché fu la prima a incensarlo quando impose alle scuole di tutto il Paese le toilette arcobaleno per studenti dal sesso incerto e ondivago. Ora, però, ha qualcosa da ridire: «L’Emergencies Act può essere invocato unicamente in presenza di una situazione che minacci seriamente la capacità del Governo del Canada di preservare la sovranità e l’integrità territoriale della Nazione oppure quando la contingenza non è oggettivamente gestibile sotto le tutele della legislazione ordinaria canadese». Nemmeno nel pieno della campagna militare mondiale dell’Isis il Canada arrivò a ventilare una simile ipotesi. A quanto pare, i camionisti che bloccano i ponti sono ritenuti più pericolosi dello Stato islamico. Nonostante – senza il ricorso a leggi speciali – la polizia abbia già sgomberato l’Ambassador Bridge e proceduto a decine di fermi e arresti.
Perché allora quella mossa, avversata persino dai Premier delle varie Province? Justin Trudeau, nel presentare la sua decisione, avrebbe sottolineato con forza il carattere non militare dell’atto, quindi sgomberando il campo da suggestioni di legge marziale. Excusatio non petita. Ma c’è di peggio. Perché, in ossequio ai tempi che corrono, il primo ministro avrebbe capito che appare inutile e controproducente ricorrere al potere delle mostrine, quando c’è quello bancario. In base alla legislazione di emergenza, infatti, chiunque doni denaro alla causa del Freedom Convoy può potenzialmente incorrere nell’accusa di finanziamento del terrorismo. A confermarlo la ministra delle Finanze, Chrystia Freeland (nomen omen), a detta della quale «l’esecutivo sta già implementando e ampliando gli orizzonti di intervento delle legislazioni anti-riciclaggio canadesi, in modo da avere immediata capacità di intervento anche su piattaforme di crowdfunding e provider di servizi di pagamento. Anche in criptrovalute. Ciò che intendiamo fare è attuare la strategia del follow the money, in modo da perseguire chi finanzia blocchi illegali che danneggiano il Paese e la sua economia».
In tal senso, i poteri speciali consentono al Governo di ordinare il congelamento temporaneo di beni e conti correnti di cittadini e associazioni sulla base di un mero sospetto, senza necessità di un’ordinanza di tribunale e godendo della totale immunità rispetto alle decisioni assunte. Infine, persino imporre il divieto di operatività finanziaria a soggetti ritenuti a rischio. Paradossalmente, un qualcosa che appare ancora più pericoloso dei blindati per strada a preservare l’ordine su ponti e autostrade.
Tutto questo sta accadendo nel silenzio generale. Non so se vi è chiaro: un Paese membro del G7 non è in grado di far fronte alla protesta dei camionisti contro il pass vaccinale con mezzi ordinari e, di fatto, ricorre a una legislazione di emergenza mai invocata prima nella storia del Paese. Il tutto, mentre il governo dell’Ontario mostrava l’approccio opposto, visto che nel giorno del grande passo di Justin Trudeau, aboliva il pass vaccinale con effetti immediato.
O forse questi grafici possono aiutarci a intuire cosa potrebbe esserci dietro quella decisione, in pieno periodo di Federal Reserve che gioca quotidianamente al bad cop and good cop con i tassi di interesse, facendo impazzire il mercato?
Forse Justin Trudeau teme una fine anticipata e ingloriosa della sua carriera politica, una replica 2.0 della parabola di Luis Zapatero e della sua poco onorevole uscita di scena fra le macerie di una bolla immobiliare che costrinse l’Ue a stanziare una cinquantina di miliardi per salvare il sistema bancario iberico? Forse Justin Trudeau teme l’effetto subprime su migliaia e migliaia di canadesi destinati a vedersi pignorata la casa, dopo almeno quattro anni di mercato real estate lasciato placidamente andare fuori controllo, come mostra l’ultimo dei tre grafici che fa riferimento al periodo terminato nel secondo trimestre del 2018? Quando Justin Trudeau era già al potere da tre anni.
E venendo alle cose di casa nostra, i continui appelli a una prosecuzione del regime di green pass da parte di membri del Cts e del Governo, addirittura favorevoli a un’estensione fino alla fine dell’anno, nonostante i contemporanei miglioramenti della situazione sanitaria e il tracollo di quella economica, forse stanno operando da ambasciator virologico che non porta pena di qualche agenda parallela di controllo preventivo su conti e proprietà? La guerra senza quartiere scatenatasi, quasi dalla sera alla mattina, in seno al Governo sul superbonus per l’edilizia ha forse a che fare con una preventiva e poco discreta presa di distanza rispetto a una bomba pronta a esplodere, un clamoroso caso di nobile arte del mettere le mani avanti? L’intervista senza mezzi termini sul mercato edilizio drogato rilasciata da un uomo di economia e molto vicino al Premier come il ministro Giancarlo Giorgetti, cosa deve farci intendere, soprattutto alla luce della piccata replica del suo leader di partito?
Attenti allo spoiler canadese. Perché nessun Primo ministro nel pieno delle sue facoltà politiche invoca poteri da corte marziale solo per stroncare un convoglio di camionisti. E dare l’esempio. O forse sì, forse siano arrivati a questo punto? D’altronde, persino qui da noi abbiamo vice-ministri che annunciano fieramente in tv di voler rendere la vita difficile a 5 milioni di cittadini/contribuenti. E sono ancora al loro posto.
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