L’incontro al Cremlino di martedì scorso tra il cancelliere tedesco Scholz e il presidente russo Putin è sembrato segnare una discontinuità nel taccuino della crisi. Ma in politica apparenza e realtà spesso e volentieri non coincidono. Era lo stesso giorno in cui, ai primi movimenti definiti dai media di “parziale ritiro” delle truppe russe, a tarda sera Biden replicava dicendo che “l’inizio del ritiro della Russia non è stato verificato” e che l’invasione della Russia “resta un rischio concreto”.
Ad oggi non molto è cambiato rispetto a martedì scorso. I rapporti tra Berlino e Mosca sono complessi e soffrono di una sorta di sindrome del terzo incomodo, spiega, da Berlino, Edoardo Laudisi, scrittore e traduttore, collaboratore di varie riviste. Nella partita ucraina, attraverso il ruolo della Germania, tutto si tiene, dagli equilibri geopolitici alla transizione energetica. Fino alla sopravvivenza stessa dell’Unione Europea.
Quali sono le ambizioni geopolitiche di Scholz?
Le ambizioni geopolitiche della Germania sono subordinate a quelle di Washington. Questo è un dato di fatto stabilito nel 1945 e valido tutt’oggi. Le 70 basi militari Usa sul territorio tedesco sono lì a ricordarlo. Per questo prima di vedere Putin Olaf Scholz è volato a Washington. L’incontro con Biden è stato il vero incontro importante per Scholz in quanto ha stabilito i margini tedeschi nella faccenda ucraina. E lì è successo un fatto che i giornali tedeschi hanno cercato di sminuire, ma non hanno potuto ignorare.
Di che si tratta?
Nel corso della conferenza stampa congiunta, Biden ha dichiarato che, in caso di invasione russa dell’Ucraina, Nord Stream 2 sarebbe stato eliminato. Davanti a questa affermazione Scholz non ha aperto bocca.
Sappiamo cos’è il Nord Stream 2, ma giova ripeterlo.
È un gasdotto strategico per la Germania (e per l’Europa), che importa il 38% del suo fabbisogno di gas dalla Russia. Un gasdotto vitale per l’approvvigionamento energetico di Berlino. Credo che neanche Breznev abbia mai ostentato tanto dominio nei confronti del presidente della Germania dell’Est Erich Honecker.
Una volta appreso i margini di manovra da Washington?
A quel punto, Scholz ha avuto tutto sommato un buon incontro con Putin. Anche perché le cose importanti Putin le aveva già discusse con Biden. L’incontro è servito più che altro per confermare la volontà di de-escalation delle parti. Il giorno prima dell’incontro, Scholz aveva ricordato a Kiev che anche l’Ucraina è tenuta a rispettare gli accordi del protocollo di Minsk.
La crisi ucraina è uno stress test non solo per la Nato, ma anche, in qualche misura, per i singoli paesi (governi, opposizioni) che ne fanno parte. Non lo è per l’Italia, perché questa crisi viaggia completamente sopra le nostre teste, infatti Draghi si affida a Macron. E per la Germania?
Per la Germania la crisi dell’Ucraina è l’ennesima dimostrazione che, quando si tratta di scenari geopolitici mondiali, questo paese non ha nessuna autonomia in fatto di politica estera. Al massimo può dire no, come fece Schröder nel 2003 quando rifiutò di partecipare alla guerra in Iraq, ma per il resto le sue azioni non oltrepassano la dimensione delle politiche commerciali o, come nel caso della crisi ucraina, delle rappresentanze per conto degli Usa.
Merkel aveva un ottimo rapporto con Putin. È una fase ripetibile?
Anche Gerhard Schröder aveva un ottimo rapporto con Putin. Sotto molti aspetti perfino migliore di quello della Merkel, tanto che durante l’incontro con Scholz il presidente russo non ha mancato di tessere le lodi dell’ex cancelliere. Ed è probabile che anche Scholz instaurerà delle ottime relazioni con il presidente russo. È innegabile che tra questi due paesi ci sia attrazione, una specie di passione inconfessabile che però non può essere vissuta apertamente per via della presenza del terzo incomodo, gli Stati Uniti.
La Germania è il Paese europeo che più ha investito in rinnovabili ma ha comunque ritenuto necessario completare il Nord Stream 2 nonostante le difficoltà geopolitiche. Che tipo di consapevolezza hanno elettori e imprese sui costi e la sostenibilità della transizione?
A commento della visita del cancelliere Scholz a Washington, il ministro del Clima e dell’Economia Robert Habeck (Verdi) ha annunciato un intervento massiccio dello Stato nel mercato energetico tedesco già nel prossimo inverno. Lo scopo sarà quello di diversificare le fonti energetiche nel senso di incentivare le energie rinnovabili e abbattere la dipendenza dal gas. I verdi si sono sempre opposti a Nord Stream 2, attirandosi le simpatie di Washington che spinge per rifornire l’Europa con il suo gas naturale liquefatto, e ora hanno la volontà di dimostrare che un mondo senza fornitore russo, o con un fornitore russo fortemente ridimensionato, è possibile. L’impatto che questo spostamento epocale avrà sulle imprese e sulla vita dei cittadini credo che non sia stato valutato fino in fondo.
In che senso?
Se ne parla poco, dando per scontato che andrà tutto bene. Ne sapremo di più l’anno prossimo, quando l’intervento massiccio annunciato da Habeck come un piano quinquennale, inizierà a produrre i suoi effetti.
Berlino si è dimostrata molto scettica sulle sanzioni alla Russia. Fino a che punto questa posizione può essere mantenuta e a quali costi?
Quando si parla delle relazioni russo-tedesche bisogna considerare che, in un ipotetico mondo senza Stati Uniti, questi due paesi avrebbero da tempo instaurato relazioni stabili e profittevoli per entrambi. I due Stati, infatti, possiedono beni complementari; la Russia ha potenza militare e materie prime, la Germania tecnica e know how. In un’ottica riccardiana questo significa che lo scambio tra i due paesi sarebbe molto proficuo per entrambi. Se ciò non avviene, o avviene con molta difficoltà, è a causa della Nato e degli Stati Uniti. Per questo la Germania appena può prova a smarcarsi dalle politiche aggressive degli Usa mirate a mettere sotto pressione la Russia. Quando però i nodi arrivano al pettine, come nella crisi ucraina, Washinton tira il guinzaglio e Berlino deve adeguarsi.
Il rallentamento della crescita internazionale e la morsa dell’inflazione sulle decisioni delle banche centrali mettono alla prova il “progetto europeo”. Fino a che punto la Germania è disposta a contribuire a tale progetto di fronte a queste sfide?
L’Europa rimane l’unico playground geopolitico dove la Germania può recitare il ruolo di nazione sovrana, dal momento che dopo la Brexit l’unico concorrente rimasto è la Francia. Grazie all’Europa, all’euro e alle politiche di austerity la Germania ha trionfato sui mercati internazionali, ha imposto il suo timbro a Bruxelles e ha ritrovato una certa vocazione alla politica estera, sebbene di piccolo cabotaggio. Quindi si può star certi che Berlino farà tutto il possibile per mantenere le cose come stanno. Fino a un certo punto naturalmente.
Che cosa intendi?
Se la Bce dovesse confermare di non voler più intervenire come prestatore di ultima istanza sul mercato dei titoli, facendo così sprofondare nuovamente gli Stati fragili come Italia e Grecia nei gorghi della crisi del debito, è prevedibile che Berlino appoggi una qualche forma di alleggerimento dei trattati europei. Questo però non significa che i paesi fragili possano stare sereni, perché un incremento della flessibilità sarebbe inevitabilmente agganciato a un aumento delle condizionalità sui prestiti, come dimostrano tutti i programmi di sostegno europeo dal Pnrr al Mes. Certo, se l’inflazione dovesse infiammarsi, cosa assolutamente possibile visto l’aumento in atto delle materie prime, l’intera struttura europea ne sarebbe travolta e a quel punto dubito che sarebbe possibile salvarla con qualche ritocco ai trattati.
La guerra fredda Usa-Cina mette in crisi il comparto industriale tedesco che con Pechino ha legami molto stretti.
Anche qui vale quanto detto per la Russia. In un mondo senza gli Stati Uniti, la Germania avrebbe vita molto più facile. Nel caso specifico però alcuni esperti fanno notare come il comparto industriale tedesco dell’automotive sia comunque destinato ad entrare in crisi, Cina o non Cina, a causa della crisi delle materie prime e della trasformazione energetica dei sistemi di trasporto. Alcuni parlano di fine dell’era del cavallo, la fine cioè di un modello industriale che ha puntato quasi tutto su un unico prodotto, quelle delle automobili, che rischia di essere sostituito.
Che alternative ha la Germania da questo punto di vista?
Le alternative si chiamano ovviamente rivoluzione verde e digitalizzazione, due concetti di cui tutti parlano in termini estatici pur faticando a spiegare in che modo saranno in grado di rimpiazzare le perdite dovute al crash del modello industriale attuale.
Sei in Germania da tempo. Registri evoluzioni nel sentiment tedesco, tra cultura “dem” americana e fascinazione russa?
La cultura “dem” di provenienza Usa è la cultura del potere, dell’establishment politico-culturale e dei media. Traccia il limite invalicabile oltre il quale nessuna espressione politica, artistica o intellettuale può esistere in Germania, senza essere accusata di razzismo, fascismo o populismo e quindi venire annientata come nemica della democrazia. La fascinazione russa invece è la nostalgia e perfino l’invidia che suscita un paese sovrano, forte e libero come la Germania non è e non sarà mai più.
Non ci sono i presupposti per un cambiamento?
La crescita di malcontento nella popolazione, soprattutto negli ultimi due anni, farebbe propendere molti per la Russia, ma il controllo solerte dei media e il senso di colpa tedesco richiama tutti all’ordine.
(Federico Ferraù)
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