Molte sono le aspettative legate ai risultati che potremo ottenere da un buon utilizzo dei fondi investiti con il Pnrr. Unioncamere, assieme ad Anpal, ha presentato elaborazioni ottenute con il sistema Excelsior per avere le previsioni sull’occupazione generata dai nuovi investimenti e per prevedere i fabbisogni professionali.
La previsione copre tutto il quinquennio 2022-2026 e tutti i settori dell’economia con la sola esclusione dei servizi domestici. Il tentativo di previsione sconta il forte impatto che la pandemia ha avuto e avrà ancora nell’immediato futuro sugli andamenti economici: i cambiamenti dei comportamenti determineranno variazioni nella composizione della domanda di beni e servizi che non siamo ancora in grado di valutare in tutta la loro portata. Questa incertezza si somma ai cambiamenti strutturali che interesseranno l’economia.
La rivoluzione digitale agirà sia attraverso processi di sostituzione di sistemi produttivi, sia implementandoli. Determinerà la nascita di nuove professioni e anche la necessità di acquisire nuove competenze per professioni che continueranno a essere importanti.
L’impatto della sostenibilità, la transizione verde, coinvolgerà l’insieme dei settori economici e delle professioni con un’implementazione delle competenze richieste e ristrutturazioni dei comparti industriali ad alto impatto ambientale.
La terza transizione riguarda l’impatto dei processi demografici sia nella sostituzione della generazione del baby boom sui posti di lavoro, sia per la nuova domanda della “silver economy“.
Il Pnrr affronta le tre transizioni in più parti delle previsioni di riforma e di investimento previste nelle sei missioni che lo compongono e prevede iniziative specifiche, nella parte dedicata al lavoro, per sostenere l’occupazione giovanile e femminile. Prevede, inoltre, forti investimenti diretti per la formazione degli occupati (sia per processi di reskilling che per upskilling) che per potenziare il sistema di formazione duale (almeno 135 mila ragazzi coinvolti) e la formazione professionale terziaria (superare i 10 mila diplomati agli ITS all’anno).
Vediamo ora i numeri di fondo delle previsioni per il quinquennio. Sulla base delle ipotesi attuali riferite al sistema pensionistico si stima che vi sarà la sostituzione di 2.827.800 lavoratori. L’effetto di crescita occupazionale determinato dagli impatti delle nuove misure porta a determinare una crescita ulteriore di 1.293.900 posti di lavoro (scenario minimo) o di 1.719.000 nello scenario di maggiore crescita del Pil. Il totale è un’entrata complessiva nel mercato del lavoro fra i 4 ed i 4,5 milioni di nuovi lavoratori.
Non tutti i settori contribuiscono però allo stesso modo. I lavoratori autonomi determineranno fra 1 e 1,1 milioni di posti complessivi, dove però circa 800 mila sono sostituzioni. La Pa a fronte di 726 mila sostituzioni aggiunge 46 mila nuovi occupati (dato l’alto numero di uscite può però agire per introdurre un maggior numero di persone con alta formazione). I dipendenti privati crescono fra i 2,25 e 2,6 milioni di nuovi lavoratori con quasi un raddoppio rispetto alle sostituzioni nello scenario più positivo.
Guardando i settori economici, quelli che hanno un tasso di nuovi posti di lavoro superiore alla media complessiva risultano essere informatica e telecomunicazioni, salute, formazione e cultura, finanza e consulenza, il settore servizi e, come prevedibile, costruzioni e infrastrutture.
In termini territoriali, evidentemente in assenza di misure specifiche, l’espansione occupazionale interessa maggiormente il nord-ovest. Significativa comunque la crescita di un milione di posti di lavoro, nel complesso, sia al sud che nel nord-est.
Ciò che ci richiama all’urgenza di incidere da subito sulla realtà delle transizioni scuola-lavoro e sulle politiche attive del lavoro è la valutazione della composizione della domanda rispetto all’offerta di professionalità misurabile nell’offerta. Il rischio che si ampli il mismatching fra esigenze dell’economia e formazione dei lavoratori diventa con le previsioni a 5 anni una certezza.
La composizione media della domanda del settore privato prevede un 21,6% di laureati, il 41,5% di diplomati e il 36,9% con qualifica professionale e obbligo formativo. Nel settore della Pa, i laureati richiesti coprono il 58,5% del totale, i diplomati il 33,7% e con qualifica professionale solo il 7,8%.
Per quanto riguarda i laureati ne mancherebbero, dato medio annuo, dai 40 ai 60 mila. Risultano in deficit tutti i settori, ma in modo più evidente i laureati in materie economiche, scientifico-matematiche, medico-sanitarie e ingegneristico-architettoniche.
Per quanto riguarda i diplomati si registra un forte deficit per le qualifiche con indirizzo amministrativo e di marketing, per il socio-sanitario e per il settore trasporti e logistica. Deficitaria anche l’offerta complessiva per le professionalità richieste da industria, artigianato e costruzioni. I numeri assoluti risultano meno significativi per il forte peso dei diplomati liceali che solo in minima parte entrano sul mercato del lavoro.
L’istruzione formazione professionale mostra tutto il ritardo con cui la maggioranza delle regioni affronta il tema del rapporto scuola-lavoro e del sistema duale. Il deficit annuale risulta mediamente di 50/60 mila posizioni che non trovano giovani con le adeguate professionalità.
Le figure professionali indispensabili per edilizia, impiantistica e meccanica sono fortemente carenti. Seguono poi le richieste per figure amministrative e per logistica e trasporti che non trovano risposte nell’offerta di percorsi formativi adeguati. Complessivamente la IeFP arriva a soddisfare solo il 60% della domanda di lavoro.
Una previsione quinquennale si sa che può incorrere in errori anche significativi. Una crisi anomala come quella della pandemia e l’impatto delle trasformazioni in atto aumentano l’incertezza e quindi la possibile precisione dei dati. Fatte salve le precauzioni sull’uso di numeri emerge, però, almeno per le valutazioni qualitative, come il mismatching oggi esistente fra percorsi formativi e professionalità richieste possa pesare nei risultati occupazionali futuri. La curva demografica favorirà oggettivamente l’entrata di molti più giovani nel mercato del lavoro. Il ritardo nel favorire la crescita della formazione tecnica e professionale con il sistema duale può portare a non sfruttare pienamente la crescita dell’occupazione generata proprio per le future generazioni.
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