La guerra tra Russia e Ucraina sta producendo gravi effetti anche sul fronte dei mercati finanziari, dove i prezzi di cereali e grano stanno schizzando alle stelle: +5,7% in un solo giorno, traducibile in 47 euro in più a tonnellata per il grano tenero (+16%) e in 30 euro in più a tonnellata per il mais (+12%). Come spiega dettagliatamente il “Corriere della Sera”, l’emergenza in landa ucraina sta generando dunque pesanti ripercussioni anche nel nostro Paese; infatti, l’Italia importa il 64% del suo fabbisogno di grano per la produzione di pane, pasta e biscotti e il 53% del mais di cui necessita il bestiame.
Coldiretti riporta inoltre che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais, con una quota di poco superiore al 20%: “Ora – si legge sul quotidiano –, il rischio di speculazioni e di quelle carestie che nel passato hanno provocato tensioni sociali, politiche e flussi migratori anche verso l’Italia, è reale”. E, intanto, “il primo effetto concreto da noi si è visto in Molise. Non per l’aumento del grano, ma per quello del gas, che ora ha ricadute proprio sulla produzione di pasta. Il pastificio ‘La Molisana’, infatti, ferma la produzione; infatti, i camionisti non possono uscire dallo stabilimento, perché verrebbero fermati dai loro colleghi che ora bloccano strade e autostrade a partire dalla Puglia, per l’agitazione degli autotrasportatori”.
GRANO E CEREALI, PREZZI ALTISSIMI. GIANLUCA LELLI (CAI): “EVITARE LE SPECULAZIONI”
Sul “Corriere della Sera”, in relazione all’aumento dei prezzi di grano e cereali, ha detto la sua anche Gianluca Lelli, amministratore delegato di Cai-Consorzi Agrari d’Italia: “È un momento delicato e dobbiamo evitare che questa crisi internazionale possa ripercuotersi su consumatori e agricoltori. Abbiamo il dovere di evitare che qualche speculatore, puntando ad acquistare materie prime agricole a prezzi più bassi, costringa gli agricoltori a svendere il prodotto addirittura sotto i costi di produzione, esplosi a causa del caro energia e degli incrementi di concimi e mangimi”.
Coldiretti, dal canto suo, ha invece spiegato perché l’Italia, universalmente nota come “il Paese della pasta“, sia costretta a importare materie prime agricole: “Colpa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori. Negli ultimi dieci anni è scomparso anche un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati”. Il dito viene puntato contro le industrie, le quali “per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti”. La conseguenza diretta? In questo 2022 sono praticamente raddoppiati in Italia i costi delle semine per la produzione di grano per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni e sono aumentati a dismisura anche i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti”.