Caro direttore, vorrei proporre rispetto al tema dell’inflazione, potremmo dire ormai “galoppante”, la visuale di un settore, quello degli appalti pubblici, che raramente ha trovato spazio fra le notizie che i giornali riportano; per la verità solo il Suo giornale ha da tempo affrontato questo tema, direi con interessante preveggenza e voce piuttosto solitaria.
Eviterei di riportare i molti numeri che sono veramente drammatici. Esemplifichiamo solo per i principali metalli impiegati come input produttivi nei processi industriali, come ad esempio i cavi elettrici (+23% l’aumento del rame, +34% per l’alluminio nel solo mese di dicembre). E oltre ai metalli sono aumentate anche le materie plastiche: il PVC di quasi il 72% e il Polietilene del 79%. (fonte AICE-ANIE). L’esito è che l’aumento del cavo finito può arrivare ora fino al 60% rispetto al mese di dicembre 2021!
La cronaca peraltro ci riporta una recente notizia interessante. ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha presentato il mese scorso un ricorso al TAR Lazio per chiedere l’annullamento della metodologia applicativa per il calcolo rincari del decreto del MIMS dello scorso novembre sulle compensazioni per il primo semestre del 2021 negli appalti pubblici. A tema non solo la più che misera dotazione economica (100 milioni pari soltanto pari al 2,2% del costo per lo Stato del superbonus al 110% nei primi nove mesi 2021), ma il rilievo che sarebbero compensato solo il 33% dei maggiori costi effettivi sostenuti dalle imprese (e per giunta nei limiti dell’insignificante dotazione finanziaria resa disponibile). Il ricorso di ANCE, oltre che dare atto di una misura tardiva, parziale e certamente inadeguata, dà soprattutto evidenza dell’esasperazione del settore considerato che ANCE è sempre stata non solo molto influente nei processi decisionali del legislatore, ma anche sempre, proprio per questa capacità di interpretare e favorire gli interessi dei suoi associati, allineata su posizioni “governative”.
Ora appare nelle recenti misure urgenti varate dal Governo all’art. 29 del D.L. 27 gennaio 2022, n. 4 un nuovo e certamente più equo e ampio meccanismo di compensazione degli aumenti, ma che presenta tre evidenti criticità.
1) Innanzitutto “le risorse previste dalla presente disposizione per far fronte ad eventuali forme di compensazione delle variazioni di prezzo, è a valere su fondi o disponibilità che a legislazione vigente hanno già una propria finalità la cui realizzazione, per effetto dell’utilizzo previsto nella presente disposizione, potrebbe essere compromessa”; chi scrive questo commento allarmante sono i tecnici del servizio bilancio del Senato nella nota di commento al decreto (nota 268 febbraio 2022).
2) Il legislatore peraltro ha individuato un nuovo soggetto, l’Istat, che sarà incaricato di registrare le nuove rilevazioni attraverso una nuova metodologia; così facendo, lo stesso Governo ha certificato l’inadeguatezza delle misure adottate con il decreto dello scorso novembre e che hanno riguardato gli aumenti per il primo semestre del 2021 e introdotto un ulteriore e diverso soggetto attuatore.
3) Infine, tutto l’insieme dell’iter, posto che i decreti attuativi siano effettivamente emessi nei tre mesi successivi alla pubblicazione del D.L., circostanza quasi sempre disattesa, avrà una conseguenza operativa per le imprese non prima di 6-8 mesi, nella migliore delle ipotesi e a valere su costi subiti già nel secondo semestre 2021.
Mi sembra del tutto evidente la pericolosità per l’equilibrio economico-finanziario di soggetti che ora, sempre più spesso, si trovano a essere da mesi compensati per il proprio lavoro meno di quanto spendono per il solo acquisto di materiale. E posto che la legislazione contrattuale è palesemente squilibrata a favore della stazione appaltante si crea un pericoloso cortocircuito dagli esiti forse irrecuperabili per molti operatori; anche perché, per l’ennesima volta, tutto il settore subisce un trattamento diverso da tutti gli altri settori che hanno ricevuto finanziamenti a pioggia.
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