“Delle numerose persone che si erano accalcate sulle rive del grande canale (a Canton) varie si erano sistemate sull’alta poppa sporgente di una vecchia imbarcazione che purtroppo, cedendo al peso, si spezzò facendo precipitare l’intero gruppo. Benché numerose barche stessero navigando nella zona non se ne vide nessuna dirigersi in aiuto di coloro che stavano agitandosi nell’acqua mentre fu osservato un tizio attivamente impegnato a raccogliere, col gancio d’accosto della sua barca, il capello di un uomo che stava affogando”.
Questa scena surreale è riportata nelle memorie del segretario privato dell’ambasciatore del re d’Inghilterra alla fine del Settecento in Cina ed è ripresa in un agile volumetto di Carlo Maria Cipolla – Uomini, tecniche, economie – la cui prima edizione è apparsa nel 1962 per essere numerose volte aggiornata fino al 1974. L’insegnamento che se ne trae è che in quel tempo e in quel luogo abbondavano gli uomini e scarseggiavano i cappelli. Motivo per cui i secondi erano considerati più preziosi dei primi.
“Per la salvaguardia della dignità e della santità della vita umana – commenta il pluridecorato economista morto nel 2000 – è imperativo che l’uomo non diventi il bene più economico”. Questa considerazione nasce dalla constatazione che dal 10.000 avanti Cristo a oggi – da quando cioè si sono affacciate e affermate le economie predatoria, agricola e industriale – sono state impegnate più risorse per assicurare lo sviluppo quantitativo della popolazione mondiale che per promuovere il suo miglioramento qualitativo.
Allo stato attuale, con una crescita demografica che latita in alcune nazioni mature ma che è in grande ascesa in altre in via di sviluppo con i temuti danni per l’ambiente che tutti conosciamo, il rischio è che l’uomo diventi una risorsa talmente abbondante da perdere gran parte del suo valore soprattutto se messo a confronto di altri beni – i cappelli dei giorni nostri – per acquisire i quali si può giustificarne il sacrificio compromettendone i diritti e la libertà se non addirittura la vita. Le cronache di questi giorni insegnano.
E allora, torna in campo Cipolla citando Platone, “la ricchezza non è un valore in sé; se sua guida è l’ignoranza, la ricchezza è un male ancor più del suo contrario in quanto più potenti sono gli strumenti che mette a disposizione della sua cattiva guida; se invece si fa guidare dalla prudenza e dal sapere, la ricchezza è un bene”. La felicità umana, assunta come fine dell’esistenza, non può affermarsi dove dominano intolleranza e brutalità. Per poterla conquistare occorre essere educati all’amore per le virtù e all’uso saggio della tecnologia.
“Il fatto di istruire un selvaggio nell’uso di tecniche avanzate – ammonisce Cipolla – non lo trasforma in una persona civile ma ne fa solo un selvaggio efficiente”. Da qui l’imbarbarimento di usi e costumi, la fragilità delle relazioni e la sfiducia tra popoli e persone che caratterizzano gli anni che stiamo vivendo. In ciascun contesto, domestico o internazionale, abbiamo visibilità e conferma di quello che accade quando “l’uomo, signore di tutte le cose, non è signore di se stesso e si sente perduto nella propria abbondanza”.
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