L’Ucraina. E noi?

La prima urgenza è accorgersi. Non è scontato, neanche per la guerra in Ucraina. Per capire si deve "toccare la carne di chi subisce i danni ... con cuore aperto"

Potremmo cominciare guardando in modo diverso, più intensamente umano, le badanti ucraine dei nostri parenti anziani: sono 200mila in Italia. Interessarci delle loro persone e del dramma dei loro familiari, sotto le bombe criminali di Putin o in fuga disperata da quell’inferno. La prima urgenza è accorgersi. Accorgersi davvero, lasciarsi colpire.

Non è scontato, neanche per la guerra in Ucraina: siamo ormai troppo abituati ad acquietarci nelle nostre (?) opinioni. Occorre invece stare ai fatti. Avere davanti le persone.  Il primo passo per capire è “toccare la carne di chi subisce i danni… con cuore aperto”, ha scritto papa Francesco nella Fratelli tutti. Avere il coraggio di guardare in faccia questa immane tragedia che la guerra sempre è, noi sicuri di stare nel paradiso terrestre della pace perpetua e i conflitti, sì, ma “not in my backyard”, non nel mio giardino.

Poi conviene sostenere le azioni umanitarie, soprattutto di organizzazioni, come ad esempio l’Avsi, che da anni operano in Ucraina in partnership con realtà locali in azioni totalmente immanenti ai bisogni della gente. Poi ancora, disporci ad accogliere i profughi: sono già 200mila, se ne prevedono un milione, non potranno stare tutti in Romania, Moldavia e Polonia (che ne ospita già due milioni, emigrati dopo l’annessione della Crimea alla Russia).

La seconda urgenza è assumere  la persona umana come punto focale della cultura e della politica. Non è male che in tutt’Italia e in Europa ci siano state manifestazioni per la pace e contro l’aggressione: segni di un desiderio non spento, che ha bisogno di prendere corpo nell’esperienza reale, per non decadere. È prezioso il messaggio lanciato a Firenze da vescovi e sindaci riuniti nel forum civile ed ecclesiale sulla pace nel Mediterraneo: la persona umana sia il fulcro dell’agenda internazionale. “La preghiera è più forte dell’atomica”, ha detto il card. Bassetti. “Ansia, angoscia – ha detto l’arcivescovo cattolico di Mosca, Paolo Pezzi – ma anche fiducia nelle armi potentissime della preghiera e del digiuno”. La giornata di preghiera e di digiuno indetta dal Papa per mercoledì 2 marzo non è un ripiego inerte da paolotti. La preghiera è ciò in cui la persona è veramente affermata nel suo valore in quanto rapporto con l’infinito e perciò inviolabile nella sua dignità e nel suoi diritti.

Questa posizione non si rassegna a credere che le forze che muovono veramente la storia siano solo il soldo e le armi. In questo caso l’alternativa sarebbe quella secca, totale e disperante di Biden: o sanzioni o guerra mondiale.  Sicuri che bastino le sanzioni (giuste e inevitabili) a scongiurare la guerra mondiale?

Uno spiraglio negoziale deve essere sempre perseguito. Ed esige di essere non ingenui faciloni, ma umili tessitori di dialogo che sa ascoltare le ragioni dell’altro e che non pretenda in partenza di chiudere la partita delle ragioni e dei torti con un 6-0, 6-0, 6-0. Papa Francesco non ha fatto un passo ingenuo andando “a casa” dell’ambasciatore russo anziché “convocarlo” al palazzo apostolico. Ha compiuto un atto simbolico di immenso valore e messo in campo una volontà di pace che può avere sviluppi diplomatici.

Una proposta da prendere in considerazione seriamente in questa direzione potrebbe forse essere quella esposta proprio su ilSussidiario.net da don Edoardo Canetta, ricavata dalla sua lunga esperienza di docente all’Accademia Diplomatica in Kazakistan: un patto difensivo tra l’Ucraina e paesi che fanno parte dell’Alleanza atlantica, senza implicare l’adesione dell’Ucraina alla Nato. “Questo – ha scritto Canetta – non impegnerebbe l’Ucraina a partecipare a iniziative della Nato come suo membro, ma manterrebbe l’Ucraina come Stato cuscinetto protetto da questo accordo”.

Comunque la si giri, appare onesto porsi qualche interrogativo sul nostro modo – di popoli e governanti – di essere europei, rivisitando il trentennio successivo alla fine dell’Unione Sovietica. Non si può certo farlo qui nelle poche righe che restano. Solo uno spunto. La caduta del comunismo (1989-1991) rappresentò nel pensiero che faceva capo a papa Wojtyła la possibilità di costruire un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali, sulla base delle comuni radici giudaico-cristiane ed umanistiche, e attraverso la logica dell’incontro tra popoli e nazioni. È la logica con cui l’Europa è nata: la Francia di Schumann (con il Benelux) vincitrice del conflitto concordò in un rapporto “alla pari” con i “nemici” Germania e Italia un patto che sanciva non un regolamento di conti per il passato, non il dominio dei vincitori sui vinti, ma una pacifica costruzione comune, con una politica comune e aperta su quelle che erano il gas e il petrolio di allora, e cioè il carbone e l’acciaio.

Un’altra visione, occidentalista e capitalista, vedeva nello stesso evento l’occasione per assicurarsi l’egemonia mondiale. In questa visione l’Europa occidentale – sempre più popolata da nichilismo consumista e quietismo da “non nel mio giardino” – è per così dire assorbita nell’“Occidente” culturalmente e militarmente, come una sua propaggine in espansione. Quasi che Unione Europea e Nato dovessero coincidere, perché la logica dell’egemonia suppone un eterno Nemico.

Quanto questo abbia gettato benzina sul fuoco revanscista e neostaliniano di Putin, spingendolo tra l’altro a mettersi con la Cina, è quanto meno lecito chiederselo. Non per assolvere lui, né per concedergli attenuanti. Ma per guardare con verità noi stessi.

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