Il referendum sulla responsabilità civile diretta dei giudici, che era stato promosso da 9 Consigli regionali (Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte), è stato bocciato in quanto ritenuto “inammissibile” dalla Corte costituzionale: le motivazioni della sentenza sono state rese note in un comunicato emesso quest’oggi, mercoledì 2 marzo 2022.
Esse adducono al fatto che il quesito è stato ritenuto “manipolativo, non chiaro e inidoneo allo scopo”. Manipolativo e creativo, in primis, poiché “attraverso l’abrogazione parziale della legislazione vigente, avrebbe introdotto una disciplina giuridica nuova, non voluta dal legislatore, e perciò frutto di una manipolazione non consentita”. Mancante di chiarezza perché “non avrebbe consentito di configurare un’autonoma azione risarcitoria, esperibile direttamente verso il magistrato, poiché ne sarebbero rimasti oscuri i termini e le condizioni di procedibilità” e perché “oscuro è anche il rapporto tra la stessa azione diretta e quella verso lo Stato, che sarebbe rimasta in vigore anche dopo l’abrogazione proposta dalle Regioni promotrici”. Nel complesso, dunque, non idoneo allo scopo perché “incapace di definire i tratti e le caratteristiche della nuova azione processuale, che il quesito intendeva introdurre”.
Referendum su responsabilità civile dei giudici bocciato: cosa significa
Il referendum sulla responsabilità civile diretta dei giudici, che è stato bocciato dalla Corte costituzionale poiché “manipolativo, non chiaro e inidoneo allo scopo”, proponeva l’abrogazione di diverse disposizioni della legge n. 117 del 1988 (cosiddetta legge Vassalli), come modificata dalla cosiddetta riforma Orlando, n. 18 del 2015, che disciplina il regime della responsabilità civile dei magistrati per danni arrecati dagli stessi nell’esercizio delle loro funzioni. Essa, in tal senso, avrebbe fatto sì che, mediante la tecnica del ritaglio abrogativo, a ricavare dalla normativa di risulta un’autonoma azione risarcitoria nei confronti del magistrato, per consentire al soggetto danneggiato di chiamarlo direttamente in giudizio. Il “no” al quesito è stato tuttavia netto. Le norme attualmente in vigore, secondo cui l’azione risarcitoria è indirizzata nei confronti dello Stato e, solo all’esito di un’eventuale soccombenza, quest’ultimo può rivalersi sul magistrato, resteranno dunque tali.
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— Corte Costituzionale (@CorteCost) March 2, 2022