Miguel Bosè, all’interno del suo libro dal titolo “Il figlio di capitan Tuono”, che uscirà in libreria in Italia il prossimo 8 marzo, ha parlato della sua infanzia, raccontando alcuni episodi vissuti. Uno di questi, in particolare, lo ha traumatizzato. I suoi genitori, che definisce “due mostri”, lo portarono in Mozambico per un inquietante “rito di iniziazione” verso l’età adulta.
“Mi hanno cucito vivo dentro la carcassa di un cervo. L’hanno svuotato dalle viscere, poi mi hanno lasciato là dentro. Sono svenuto: per la claustrofobia, per la mancanza d’aria, per la brutalità del gesto”, questo il drammatico racconto. Il cantante italo-spagnolo, che è stato una vera e propria icona negli anni ‘80, ha spiegato anche il motivo per cui è stato costretto a subire tutto ciò: “Per aumentare la scarsa carica di testosterone”. A quei tempi aveva soltanto dieci anni. Non è, tuttavia, l’unica cosa che il padre gli fece fare per farlo diventare uomo.
Miguel Bosè: “A 10 anni chiuso in carcassa di cervo”. Il rito per diventare uomo
Il padre di Miguel Bosè, quando il cantante aveva soltanto 10 anni, non lo costrinse soltanto a rimanere chiuso in una carcassa di cervo. Egli, infatti, credeva fosse necessario farlo diventare uomo a tutti i costi perché sennò “diventa fr*cio”, diceva. “Per essere alla sua altezza avrei dovuto imparare a sparare col fucile, a fare l’amore e a fumare prima di 13 anni”. Da qui la decisione di portarlo in Mozambico. Lì l’uomo organizzò anche un incontro sessuale con una giovane del luogo di 16 anni, ma il bambino si rifiutò. “Dopo avermela offerta se la prese lui, mentre io ascoltavo terrorizzato le urla di lei rannicchiato intorno al fuoco da campo”.
Un racconto drammatico che l’artista italo-spagnolo ha voluto racchiudere nel suo libro dal titolo “Il figlio di capitan Tuono”. La storia della sua infanzia, tuttavia, verrà rappresentata anche in una serie tv realizzata da Paramount +: le riprese sono attualmente in corso.