“Alla sua liquidazione (della Cassa per il Mezzogiorno, ndr) nel 1993 seguiva, alla fine degli anni Novanta, la cosiddetta Nuova Programmazione che, esaltando le politiche su base locale, ha finito – al di là delle buone intenzioni – per avallare l’utilizzo incoerente dei fondi nazionali ed europei, fino a cristallizzare l’incapacità di spendere le risorse destinate ai territori meridionali, confinando il Sud in un ventennio improduttivo, caratterizzato da sprechi e abbandono”. Amen.
Questa amara considerazione esce dalla penna di Claudio De Vincenti e Amedeo Lepore e si ritrova nella prefazione al volume da loro curato per Rubbettino dal titolo “Next Generation Italia – Un nuovo Sud a 70 anni della Cassa per il Mezzogiorno”, che armonizza gli interventi dei molti relatori che hanno partecipato al seminario sul tema organizzato qualche tempo fa dall’associazione Merita. Un utile lavoro di ricostruzione storica e insegnamento per meglio accogliere e vincere le sfide del presente.
E tutti sappiamo che la sfida del presente è l’applicazione – la messa a terra come abitualmente si dice – delle opportunità d’investimento contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che rinviene dall’Europa e che attribuisce al Sud il 40% delle risorse. Le quali, unite alla dotazione ordinaria del quadro comunitario di sostegno, ammontano per i prossimi sette anni a circa 200 miliardi di euro. Una cifra monstre non tanto per la sua entità, quanto per la capacità di assorbimento sul campo.
Anche in questo caso, infatti, entrano in campo “le politiche su base locale” che avevano pesantemente condizionato il vecchio Intervento e, circostanza assai più preoccupante, scendono sul terreno gli attori locali che sono di gran lunga più pericolosi di qualsiasi altro elemento in gioco. A parità di regole e con una dotazione finanziaria mai vista prima a fare la differenza saranno ancora una volta le persone, gli uomini e le donne che dovranno impegnarsi a cooperare per il raggiungimento del miglior risultato possibile.
Non per sé, certamente, ma a vantaggio della comunità alla quale viene indicata la terra promessa del dopo pandemia e adesso – complicazione nella complicazione – del mondo che emergerà dalla fine del conflitto in armi tra Russia e Ucraina con le conseguenze sulle nostre vite che è ancora presto valutare fino in fondo. In tempi straordinari occorrono regole straordinarie e risorse straordinarie (e queste in qualche modo le abbiamo), ma anche e forse soprattutto capacità umane altrettanto straordinarie.
E qui probabilmente si presenta un problema. A giudicare dalla confusione che regna nella principale organizzazione imprenditoriale (Confindustria) della prima città meridionale (Napoli) qualche sospetto sull’idoneità del presunto ceto dirigente a fronteggiare il bisogno di compattezza è legittimo che sorga. Senza voler entrare nel dettaglio della questione (le cronache di questi giorni sono generose di particolari) è chiaro che si sta consumando una lacerazione che non trova uguali nel Paese.
De Vincenti e Lepore certamente non pensavano di riferirsi all’attualità descrivendo i limiti del passato, ma il rischio che il disastro si ripeta è grande. Dotata di grandi virtù (perlopiù nascoste) l’élite imprenditoriale partenopea da erede di un’antica civiltà si è trasformata in portatrice di vizi (esibiti senza vergogna) addirittura peggiori di quelli tradizionalmente attribuiti alla classe politica e amministrativa. Sarà interessante osservare in che modo penserà di consumare il suo riscatto.
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