Salute e tasse, un binomio che siamo abituati a considerare correlato positivamente, più salgono imposte e migliore dovrebbe essere il controllo sanitario. Ma non è sempre così. A volte, abbassarle può aiutare ad aumentare il benessere delle persone. È il caso delle tasse sulle sigarette elettroniche che riducono la possibilità per i fumatori di smettere per la semplice ragione che aumentano i costi. E perché psicologicamente associa l’e-cig alla sigaretta tradizionale. «Una tassazione inferiore può aiutare nel percorso di abbandono del fumo», ha spiegato Andrzej Fal, presidente della società di sanità pubblica polacca durante l’evento online “A new gaze of publich health”, una sessione del Panhellic Congress of public heath promossa da Scohre, International Association on Smoking Control & Harm Reduction for better health. «Questa scelta dovrebbe essere presa dai decisori politici: una tassazione sulle sigarette alta, mentre quella sui prodotti meno tossici dovrebbe essere il più bassa possibile».
Al contrario di quanto avviene in Polonia «dove i dispositivi alternativi, che contengono meno tabacco sono tassati come le sigarette tradizionali», ha aggiunto ancora Fal, mentre Karl Fagerström, professore emerito e presidente di Fagerström Consulting , ricordando come in Svezia e Norvegia il tasso di fumatori sia stato portato sotto la soglia del 5% grazie alla diffusione dei prodotti da fumo alternativi, ha spiegato che «questo trasferimento a prodotti meno dannosi è avvenuto senza interventi che richiedono risorse da parte del sistema sanitario ma si è rivelato efficace il solo avere a disposizione sul mercato scelte meno dannose».
L’evento di Scohre è stato l’occasione per ribadire come anche in Europa serva un nuovo approccio più pragmatico alle politiche di controllo del fumo. Dimitri Richter, capo del dipartimento di cardiologia all’ospedale Euroclinico di Atene, parlando dei diversi approcci sulla riduzione del danno ha portato ad esempio il programma degli Stati Uniti. «È un buon metodo» ha spiegato «che andrebbe esteso anche in Europa. Solo se si dimostra che un nuovo prodotto comporta benefici per la salute pubblica nel suo complesso, può essere approvato. L’approccio non è quello di avere nuovi fumatori, ma fumatori classici che passano ai nuovi prodotti. Una voce unica e una politica condivisa da tutti i Paesi europei su questo tema aiuterebbe i medici nell’informare i propri assistiti che vogliono smettere di fumare indirizzandoli verso programmi dedicati alla riduzione del danno». In Europa invece si viaggia ancora in ordine sparso, con regole che cambiano da Paese a Paese e con una Direttiva europea che risale al 2016.
Ma anche buone partiche che non vengono seguite. Richter ha portato l’esempio del Regno Unito dove le sigarette elettroniche vengono offerte come strumento complementare alle terapie sostitutive con la nicotina per smettere di fumare. «Nell’ultimo anno su 100 fumatori, il 36% ha provato a smettere» ha ricordato citando un recente studio «di queste persone il 25% ha smesso per un anno, nel gruppo di chi non riesce 91 fumatori su 100 continuano con le sigarette e appartengono soprattutto alle fasce della popolazione svantaggiate.
Occorre incentivare il passaggio di questi fumatori a dispositivi che hanno un impatto ridotto». Durante l’incontro online è emerso come ci siano anche Paesi che utilizzano approcci radicali, come la Nuova Zelanda, che ha reso definitivo il divieto di fumare sigarette tradizionali per alcune fasce di età, ma per chi fumatore lo è già, ha scelto e incentivato le strategie di riduzione del danno con l’obiettivo, ambizioso, di arrivare al 5% di fumatori nel 2025. Ignatios Ikonomidis, professore di cardiologia all’università nazionale e Kapodistrian di Atene, ha evidenziato proprio questo paradosso: «Esistono politiche europee sulla corretta alimentazione, per ridurre danni alla salute, ad esempio per ridurre il consumo di zucchero e i problemi cardiaci, ma sulle sigarette si procede in ordine sparso».