Non è facile ragionare sotto i cieli della guerra. Soprattutto stavolta perché entrano in campo variabili nuove, imprevedibili fino a pochi giorni fa come dimostra il fatto che, nonostante i segnali di pericolo, quasi nessun gestore al mondo ha preso sul serio le minacce paranoiche di Putin. Non è facile, ma bisogna provarci. Alla luce di una situazione inedita che, come sempre, presenta rischi e opportunità.
I rischi sono legati alla natura del nemico, senz’altro paranoico e megalomane, da un lato convinto di essere la vittima di una congiura contro la Russia, dall’altro ossessionato dall’impresa di restaurare l’impero. Un nemico imprevedibile perché pronto a tutto. O forse no, ma, come scrisse Saul Bellow, “in un’epoca di follia, credersi immuni dalla follia è una forma di follia”. Non possiamo correre il lusso di pensare di trovarci di fronte a un bluff. Solo la storia, ad esempio, ci permetterà di dipanare quel fil rouge che collega Putin alle trame di Donald Trump, da lui aiutato in più modi, per sovvertire la democrazia americana.
Prendiamo tuttavia anche atto che l’Europa, da sempre vituperata per le sue indecisioni, sta vivendo il suo momento Hamilton. L’Unione europea, nel giro di pochi giorni, ha rovesciato la sua politica della difesa, a partire dalle armi inviate a Kiev. Ha posto le basi per una politica energetica basata sull’autonomia e ha sbarrato la strada al gasdotto Nord Stream 2, simbolo della dipendenza da Mosca. Cadono le pregiudiziali “nimby” contro gli investimenti in energia. È stato trovato un accordo per l’accoglienza dei profughi basato sul mutuo impegno. E sul piano finanziario, soprattutto, tutti i Paesi si sono trovati concordi nella lotta contro la cortina di ferro alzata da Mosca.
Il risultato? Le sanzioni contro gli oligarchi prima, sul sistema bancario poi, hanno duramente colpito la Russia. Il tracollo della Borsa alla sua riapertura, la frana del rublo e l’isolamento finanziario hanno fatto molto male. Ancor di più l’uscita dei Big occidentali, quasi insostituibili per lo sviluppo tecnologico. Il castello finanziario costruito da Putin sull’oro e sulle riserve in dollari non regge di fronte al blocco imposto dall’Ovest.
E si profilano nuove restrizioni sul gas che solo in parte possono essere alleviate dai maggiori acquisti cinesi, ammesso e non concesso che Xi Jinping apprezzi le mosse del suo quasi alleato. Maersk e Msc, come gli altri colossi dei trasporti marittimi, hanno decretato l’embargo sulle commodities russe. Da Roman Abramovich, obbligato a cedere il Chelsea, ai comuni cittadini già colpiti dal taglio delle pensioni, oggi costretti a rinunciare a un terzo del potere d’acquisto, gli effetti dello scontro con l’Occidente si fanno già sentire dopo una sola settimana.
JP Morgan scrive che la Russia, dopo le sanzioni inflitte dai Paesi occidentali, va verso un collasso dell’economia che potrebbe superare, per gravità, quello visto dopo il default del debito nel 1998, fatale per le sorti di Boris Eltsin. In un report, gli analisti americani stimano un crollo del Pil del 7% quest’anno. “Le sanzioni minacciano i due pilastri di stabilità: riserve in valuta estera della banca centrale e surplus corrente”, si legge nel report. “Le sanzioni colpiranno nel segno per l’economia russa, che ora è diretta verso una profonda recessione”.
L’economia è solo un aspetto, importante ma non decisivo, quando sibilano i proiettili. Nessuno può mettere in discussione la potenza dell’armata russa che ha i numeri per conquistare l’Ucraina. Ma, senza volermi improvvisare esperto nell’arte delle armi, è evidente che l’Ucraina, guidata da ufficiali che arrivano dalla scuola sovietica, sta dimostrando di avere un ottimo esercito con forti radici popolari e competenze tecnologiche di tutto rispetto. E l’esperienza insegna che, dopo la conquista delle città, il vero problema degli invasori è metter sotto controllo un Paese di grandi dimensioni senza farsi spremere in una guerra sotterranea, clandestina, capace di infliggere grosse perdite.
Riuscirà la Russia a sopportare i costi dell’invasione? Oppure lo stress finanziario, combinato con i costi umani e la fragilità delle motivazioni psicologiche e politiche alla base dell’aggressione provocherà il collasso del regime. Solo congetture, che lasciano il tempo che trovano in queste giornate tragiche, in cui la vera forza della democrazia consiste nel consenso che, per ora, fa svanire come neve al sole la rete malandrina di appoggi politici di cui ha goduto lo zar Vladimir, assai abile nell’intrallazzare in Occidente con i suoi amici generosamente foraggiati.
Ma il consenso popolare deve ora affrontare la prova di un’inevitabile stagione di difficoltà economiche che, per la verità, l’Italia affronta dopo un anno positivo. Ma il forte aumento delle materie prime è destinato a incidere sull’inflazione già oltre i livelli di guardia. La crescita economica mondiale è destinata a rallentare sia a causa delle sanzioni, sia dell’aumento dei prezzi che erode il potere d’acquisto delle famiglie. L’incertezza, poi, è destinata a rallentare gli investimenti e quindi la crescita del Pil.
L’auto, affamata di chips, rischia in particolare una frenata storica se non si interviene in maniera efficace, magari rivedendo i dogmi a esclusivo vantaggio dell’auto elettrica. D’altronde, in uno scenario di stagflazione, la politica monetaria si trova nella complicata situazione di dover contrastare un’inflazione che dipende da fattori di offerta sui quali ha scarsa influenza, cercando di non appesantire un ciclo economico già in progressivo rallentamento. Anche la politica fiscale è nella difficile congiuntura di ereditare dal passato un enorme debito pubblico dovuto alla lotta alla pandemia e di dover affrontare importanti e inaspettate spese nel campo militare e della difesa. La battaglia di Kiev si vince anche con la lotta alle rendite di bagnini e speculatori immobiliari.
In questo contesto, come ha scritto Tonie Hasmaui, “è probabile che sia le borse che i mercati obbligazionari scendano, salvo che le banche centrali, nel nuovo scenario di guerra, siano disposte ad accettare ‘temporaneamente’ un’inflazione a due cifre senza stringere i cordoni della borsa. Appare però difficile e comunque forse non sufficiente a limitare il nervosismo dei mercati. Può allora valere la pena che gli investitori privilegino gli investimenti in beni reali, in titoli obbligazionari a breve rispetto alle azioni che più hanno dato soddisfazioni negli ultimi anni. Le azioni growth, che soffriranno di più per la bassa crescita”.
Meglio evitare l’emotività e il panic selling ed affidarsi alle gestioni attive che daranno maggiori soddisfazioni ai loro sottoscrittori. Ma sarà già un miracolo difendere il capitale.
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