Speculativo, spazzatura (o anche detto junk), e infine default. Il rating delle singole agenzie, attraverso i loro previsti giudizi contemplati nella parte più gravosa per chi ne è oggetto di analisi, appaiono come un formale ed educato insulto denigratorio al fine di poter identificare l’onorabilità nei confronti dei propri creditori. Nel momento in cui vengono attribuiti i temuti rating (negativi) al soggetto preso in esame, la dialettica sembra questa: “Voi siete speculativi” se va ancora bene, “voi siete spazzatura” se va decisamente male e, infine, “voi siete falliti”: se giunti a quest’ultimo, l’eventuale commento non è previsto.
Le conseguenze di tale escalation, soprattutto se cadenzata nell’arco di un breve periodo, non potrebbero che riempire di preoccupazioni sia colui che subisce il giudizio che tutti coloro che inevitabilmente (e talvolta anche inaspettatamente) si trovano ad avere a che fare con il giudicato: un irreparabile disastro che travolge tutto e tutti.
E proprio questo, con il trascorrere dei giorni e delle recenti ore, si sta materializzando all’insaputa (crediamo) di una buona parte degli investitori. A lato dell’ovvia drammaticità del conflitto in essere scoppiato per mano della Russia, su un altro versante che nulla contempla l’aspetto umano, si sta consumando un non lento, bensì velocissimo epilogo: il default ormai prossimo della Russia.
Nella notizia che si leggeva ieri (Ansa): «Nuovo balzo del costo per assicurare i bond governativi russi contro il rischio di un default dopo il decreto approvato dal presidente Vladimir Putin che consente di ripagare in rubli i creditori di obbligazioni in valuta estera. Secondo Bloomberg, che cita i dati di Ice Data services, la principale camera di compensazione per i cds europei, le probabilità di un default implicite nel costo delle assicurazioni sul debito, i cds, hanno toccato il livello record dell’80%».
Quota 80% – ovvero il nuovo record storico – arriva dopo il picco registrato venerdì che, in mattinata, vedeva i Cds in dollari a cinque anni sul debito russo segnare 1.584 con una probabilità implicita di default pari al 67%. Se a questo, aggiungiamo inoltre l’impennata dei Cds sui vari istituti di credito in territorio russo (v. Sberbank), l’impatto complessivo deve preoccupare tutti. Nessuno escluso.
E una prima avvisaglia arriva (ed è arrivata nei giorni scorsi) dal mercato del debito dei cosiddetti Paesi emergenti. Osservando il benchmark obbligazionario JPM EMBI+TR Usd si può riscontare come il tracollo delle sue quotazioni sia stato continuo; dopo il -4,519% dell’anno 2021, l’attuale performance 2022 YTD (year to date) è senz’ombra di dubbio preoccupante: -17,138% ossia per un complessivo ammontare di -20,883% in poco meno di quindici mesi. In tale debacle, inoltre, è opportuno sottolineare l’accelerazione nel corso delle ultime due settimane: un ribasso di dodici punti percentuali (-12,084%) che riporta il livello dei prezzi ai minimi di marzo 2020.
Il rischio contagio, e il suo potenziale effetto domino sull’intero universo investibile, sono sicuramente da prendere in considerazione nonostante la latitanza dei moltissimi media che, di fatto, non trattano minimamente sull’estrema importanza di uno “scenario default” in capo alla Russia. È impensabile trascurare e omettere il problema: infatti, la temuta Russia, nel ranking internazionale tra i Paesi del mondo, vede una sua collocazione al dodicesimo posto per Prodotto interno lordo nominale (secondo i dati del Fmi) con un peso percentuale in termini assoluti rispetto all’ammontare complessivo pari all’1,7% circa. Immaginando il verificarsi del “default putiniano”, è innegabile come tale sciagura possa gravemente impattare principalmente sui conti dell’intera area euro così come oltre oceano.
Appaiono troppe e troppo sottovalutate le conseguenze in capo a ogni società che detiene rapporti diretti e indiretti (anche attraverso partecipazioni) con il debito russo. Le sanzioni finora imputate alla Russia, tra le quali l’imminente estromissione dal circuito Swift, potrebbero rappresentare solo armi spuntate e prive dell’effetto desiderato.
Per avere una maggiore consapevolezza sul possibile rischio default è sufficiente tornare con la memoria alla crisi argentina: gli strascichi sono ancora presenti nei portafogli dei risparmiatori. È vero, l’Argentina di quei tempi non può essere paragonata alla Russia di oggi. Infatti, è proprio questo il pericolo: oggi è tutto diverso e tutto molto più preoccupante.
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