In Ucraina è un altro giorno di guerra. Le forze russe assediano Mariupol (le autorità parlano di oltre 1.200 vittime dopo 9 giorni di assedio) e bombardano l’ospedale pediatrico: 17 i feriti, imprecisato il numero dei morti. Il ministero degli Esteri russo aveva accusato gli ucraini di avere insediato postazioni di combattimento all’interno dell’ospedale. Zelensky parla di crimine di guerra ma non rinuncia a trattare: “si può arrivare a dei compromessi ma questi non devono rappresentare un tradimento del mio Paese”. Nel frattempo Putin preme in tutte le direzioni, per guadagnare terreno e trattare da pozioni di forza.
Dopo il no del Pentagono al passaggio di Mig-29 polacchi a Kiev (sarebbe scontro diretto con l’Alleanza atlantica), ieri la Nato è stata oggetto di una netta presa di posizione cinese, la più esplicita dall’inizio del conflitto: “Sono state le azioni della Nato, guidata dagli Stati Uniti, che hanno gradualmente spinto fino al punto di rottura il conflitto tra Russia e Ucraina”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri Zao Lijian.
“Ho paura” dice al Sussidiario Franco Cardini, storico e saggista. “E ho più paura della Nato, di questa Nato, che di Putin”. Per mettere fine a questa guerra, dice Cardini, si deve trattare. “Ma ho l’impressione che all’interno della classe dirigente americana ci siano esponenti tentati dal cercare soluzioni pericolose”.
Le delegazioni si sono incontrate tre volte, ora si attende l’incontro tra Lavrov e il suo omologo ucraino Kuleba ad Antalya, in Turchia. Un accordo negoziale è possibile?
Sì. Anche lei avrà notato che sulle trattative, quando gli incontri sono in corso, com’è stato lunedì e nelle volte precedenti, cala un profondo silenzio. Si tratta ed è un buon segno. Ma è anche un segno cattivo per i nostri mass media, che tendono a derubricare questi eventi, concentrandosi solo sulle operazioni militari.
A che scopo?
Vedo uno straordinario unanimismo, di tipo propagandistico, di tutti i mass media e di tutte le parti politiche. Mi chiedo se non rifletta le opinioni di chi effettivamente oggi governa il mondo.
Chi sarebbero costoro?
Il governo americano e i soliti “anonimi” di Davos. È noto il malumore di tanti oligarchi russi. Saranno anche legati a Putin, ma ritengo siano ancor più legati all’equilibrio finanziario internazionale. Non mi sorprenderebbe che vedessero in Putin l’ultimo ostacolo – da rimuovere – all’atlantizzazione della Russia. Naturalmente il mio è solo un sospetto.
Molto è cambiato rispetto al vertice Nato-Russia di Pratica di Mare, nel 2002.
È vero. Nel 2002 all’indomani dell’11 settembre, Putin voleva andare oltre Gorbaciov, puntava ad una casa comune sicura che includesse l’America. In quel periodo il grande pericolo che tutti sentivano era l’islam; e ci vuol sempre un nemico, altrimenti le cose non si tengono, no? Poi, nel giro di pochi anni, c’è stata una svolta, di cui noi occidentali non ci siamo accorti – o ci siamo accorti in ritardo.
Perché questa guerra? Intendo la guerra in Ucraina.
Siamo in un tempo di illusioni ottiche. L’invasione di Putin dell’Ucraina è una risposta all’offensiva della Nato, che almeno dal 2008 vuole guadagnare a tutti i costi chilometri verso Est per piazzare i suoi ordigni nucleari il più vicino possibile alla Russia.
La “operazione speciale” di Putin è una violazione del diritto internazionale, che vieta acquisizioni territoriali illegittime.
Le rispondo così: nel 2003, quando nei Paesi dell’ex patto di Varsavia le transizioni ai nuovi regimi sono compiute e le opinioni pubbliche rigurgitano di anti-russismo, la Georgia è il primo esperimento di rivoluzione colorata ai danni della Federazione Russa. Le dice nulla il nome di Mikheil Saak’ashvili? Ha “sgovernato” per anni la Georgia, quando è stato incriminato è fuggito dal paese, grazie alla sua doppia cittadinanza ucraina ha governato Odessa, è stato cacciato e infine (nel 2019, ndr) Zelensky lo ha nominato presidente del Comitato esecutivo delle riforme dell’Ucraina. Adesso è detenuto in Georgia.
E cosa c’entra la Russia?
Nel 2008 Mosca ha aiutato la minoranza osseta all’interno della Georgia a creare una enclave indipendente, la Repubblica Popolare dell’Ossezia del Sud. Lei mi dirà: perché? Ai missili della Nato piazzati in Georgia e puntati contro Mosca corrispondono altrettanti missili russi in Sud Ossezia e puntati contro il mondo occidentale.
In Ucraina si combatte una guerra che potrebbe diventare planetaria.
Concordo. È per questo che ho paura. E ho più paura della Nato, di questa Nato, che di Putin. Non mi pare che l’Alleanza atlantica sia guidata da personaggi particolarmente lungimiranti. Se, Dio non voglia, succedesse quello che nessuno auspica, i russi non colpirebbero la Pennsylvania, ma Sigonella, Aviano e Camp Derby.
Lei ha più paura della Nato che di Putin; bisognerebbe dirlo agli ucraini, in questo momento…
Gli americani e la Nato che ne dipende avevano evidentemente fatto grosse promesse di copertura a Zelensky permettendogli di violare i trattati di Minsk. Certo, non era un delitto sul piano internazionale. Ma ci sono state sevizie e violenze documentate contro il Donbass. Putin non poteva continuare a permetterlo. Dinanzi alla prospettiva di un allargamento della Nato ad Est il cui fronte di fuoco sarebbe arrivato a minacciare la stessa Mosca, ha reagito. Nel 2003, gli americani federo una “guerra di difesa preventiva” contro l’Iraq: non era forse un crimine contro il diritto internazionale? Perché due pesi e due misure?
Qual è il propellente dell’allargamento Nato? È strategico o ideologico?
Le guerre esterne hanno sempre un forte peduncolo interno. L’America ha un debito pubblico ed un debito interno enormi, che in larga parte sono direttamente o indirettamente nelle mani della Cina. Uno Stato piccolo, quando è indebitato, chiede sconti, ma una grande potenza, quando è indebitata, provoca una guerra. Lo insegna la storia.
E secondo lei gli Stati Uniti vogliono questo?
Ho l’impressione che all’interno della classe dirigente americana, in quel partito che storicamente fa coincidere interesse americano e ordine mondiale, ci siano esponenti tentati dal cercare soluzioni pericolose.
Meglio Trump?
Trump ha mille difetti, ma appartiene alla tradizione americana erede del vecchio isolazionismo, meno tentato di cercare avventure fuori casa per affermare un pur nobilissimo ma astratto principio di libertà e democrazia. Insomma, se oggi al potere ci fossero i repubblicani mi sentirei più tranquillo.
Come giudica, in questo rischiosissimo tornante della storia, il ruolo dell’Europa?
L’Europa si è largamente svuotata dei suoi contenuti tradizionali e si è lasciata culturalmente americanizzare. In più non è una unione politica, ma soltanto economica e finanziaria. Essendo un nano militare, è la Nato a decidere la politica europea. E gli alti comandi Nato stanno a Washington.
Cosa dovrebbe significare essere europei?
Volere un’Europa indipendente e capace di fare da cerniera tra gli Stati Uniti, ai quali volenti o nolenti dobbiamo moltissimo, e il mondo eurasiatico, al quale siamo però storicamente e tradizionalmente collegati.
Questa guerra getterà la Russia in braccio alla Cina?
Temo sia un fatto già largamente accaduto, più di quanto noi non possiamo credere. L’ennesimo miracolo americano.
Miracolo, ha detto?
Negli ultimi cinquant’anni la politica americana è riuscita a far fare la pace a russi e cinesi, che si sono odiati e combattuti; è riuscita perfino ad avvicinare Cina e India. In mezzo a questi grandi miracoli, se ne trovano di minori: regalare l’Iran a Pechino, insieme a buona parte dei paesi arabi. Gli Usa stanno facendo di tutto per polarizzare una nuova divisione del mondo. Siamo davanti ad un panorama prebellico da manuale. Bisogna essere politicamente e diplomaticamente molto, molto accorti.
Torniamo alle trattative.
Putin ha detto chiaramente ciò che vuole: il Donbass, la Crimea e lo stop all’avanzata della Nato verso Est. La guerra c’è perché nessuno gli ha risposto. Dire che Putin non vuole trattare, come fa qualcuno, è una risposta per lo meno imprecisa. Vuole trattare da un punto di forza, ed è per questo che intensifica le operazioni militari. Vuole anche un’altra cosa, ma non l’ha detta, per ragioni di consenso.
Quale sarebbe?
Una fine o un alleggerimento sostanzioso delle sanzioni già in essere. Ci sono governi occidentali che hanno suggerito di usare le sanzioni non solo in modo punitivo? Non mi pare. Per capirlo servono apertura e capacità politica. Le sembrerà un ragionamento banale, lo so. Ma il fatto che sia anche minoritario, è una tragedia. Vuol dire che abbiamo perduto il buon senso.
Putin ha allertato il sistema di deterrenza nucleare. Che rischi corriamo?
Nessuno, io credo, oserebbe mai premere il bottone delle armi nucleari, a meno che non fosse a rischio estremo di sparire. Detto questo, la storia ci viene in aiuto.
A che cosa si riferisce?
Quando, in un discorso radiofonico, Hitler disse “Dio mi perdoni gli ultimi 5 minuti di guerra” era evidente che si sentiva ormai sconfitto, ma ad un passo dall’avere un’arma definitiva. Non ho dubbi che Hitler avrebbe schiacciato il bottone. Però non posso dimenticare che a usare l’atomica è stata la più grande democrazia mondiale.
Il presidente russo potrebbe farlo?
Un Putin messo alle strette dalla propria situazione interna, ma con ancora il controllo delle forze armate, ritengo di sì. È certamente il primo ad augurarsi di non farlo, ma è nell’ordine delle possibilità.
Vale lo stesso per le attuali democrazie?
Ricordiamoci ciò che disse Moshe Dayan (ex capo di stato maggiore di Israele, ndr) nel ’66. Non ci faremo più cogliere impreparati, non ci faremo più mandare al macello. Il senso era chiarissimo. Anche lui aveva il bottone a portata di mano.
(Federico Ferraù)
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