Il Banco Alimentare in Italia ha unito dal primo giorno le sue forze a quelle di tutti i Banchi aderenti alla Federazione Europea dei Banchi Alimentari – FEBA, per far fronte comune alle crescenti necessità conseguenti alla guerra in Ucraina e, in particolare, a quelle dei profughi che stanno lasciando il Paese.
La FEBA ha convocato subito incontri tra i rappresentanti dei Banchi dei 29 Paesi aderenti, tra cui il Banco Alimentare dell’Ucraina, e, dopo un primo esame, si è concordato unitariamente il lancio di una raccolta fondi per far fronte alle diverse necessità.
Si è deciso di sostenere innanzitutto i Banchi dei Paesi confinanti, che per primi stanno accogliendo il flusso dei profughi e che auspicabilmente avrebbero potuto essere i primi a riuscire a far giungere aiuti in Ucraina. I Banchi di Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Moldavia e della stessa Ucraina sono di fatto in prima linea.
Un “pezzo”, magari piccolo ma significativo, di Europa ha deciso da subito di muoversi compatto dando così testimonianza che un’unità è possibile a partire del comune desiderio di solidarietà e di condivisione verso chi è nel bisogno, soprattutto se educati da anni di attività nei propri Paesi a favore degli ultimi, sia direttamente, sia indirettamente, tramite oltre 48 mila enti caritativi che aiutano più di 12.800.000 persone.
Il Banco Alimentare in Italia ha peraltro deciso il sostegno anche di un’altra importante iniziativa: la campagna “#abbraccioperlapace” promossa dall’Alleanza “Per un nuovo welfare” (oltre 100 associazioni in Italia) e dal Comitato editoriale di Vita, cui come Banco Alimentare partecipiamo. Il desiderio è cogliere, valorizzare, promuovere tutte le occasioni di incontro in particolare tra persone e comunità di russi e ucraini in Italia per raccontare, testimoniare, con una campagna innanzitutto culturale, che il confronto, l’incontro è possibile; che la pace è possibile e che può realizzarsi a partire dall’incontro autenticamente umano tra le persone.
Si tratta di sostenere le ragioni della pace e non quelle della guerra.
Non importa chi ha ragione e chi ha torto. Importa che la società civile di cui noi siamo parte, insieme alle 7.600 strutture caritative che serviamo, sia capace di testimoniare che il dialogo è possibile, al di là di ogni diversità.
Del resto questa è proprio l’esperienza quotidiana del Banco Alimentare!
Ogni giorno aiutiamo chi è in difficoltà senza considerare nient’altro se non la sua umanità e il suo bisogno, consapevoli che non potremo mai risolvere “tutto il problema”, ma che comunque contribuiamo a costruire un pezzo di mondo diverso. “Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Chi fa la guerra non guarda alla vita concreta delle persone”, ha ricordato recentemente papa Francesco.
Credo non ci sia circostanza più propizia, seppur drammatica, per approfondire questa consapevolezza della dignità culturale dell’impegno nostro e di tutti coloro che nei più svariati ambiti, modalità e attività operano, mettendo al centro chi si trova in difficoltà, per la costruzione del bene comune che è già di per sé lavorare ogni giorno per la pace.
Non si tratta di promuovere iniziative particolari, di “inventarsi” cose da fare: occorre avere uno sguardo attento a cogliere tutte le occasioni, le persone che già incontriamo nella nostra quotidianità per promuovere la costruzione di quella “solidarietà sociale” che è lo scopo della nostra azione.
Durante i periodi più duri della pandemia ci siamo sempre richiamati all’importanza di continuare fedelmente il nostro lavoro quotidiano e a quanto fosse importante che in una situazione di emergenza restassimo al nostro posto, adempiendo al meglio possibile il nostro compito. E abbiamo espresso questo nostro impegno con una sorta di slogan: Fare l’ordinario nello straordinario! Ancor di più oggi, in una situazione di accresciuta emergenza, crediamo sia fondamentale continuare con umiltà e determinazione la nostra opera quotidiana che rende capaci di rispondere alle necessità dei tantissimi profughi che stanno arrivando e continueranno a giungere nel nostro Paese, e dei tanti nuovi poveri che le conseguenze della guerra rischiano di provocare, coinvolgendo in questa “straordinaria ordinarietà”, o forse ormai sarebbe meglio dire “ordinaria straordinarietà”, i tanti nostri partner, aziende e privati, sostenitori della nostra opera e costruttori del bene comune.
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