In un contesto storico, drammatico e doloroso, in cui la politica estera italiana, sempre improntata alla condanna della violenza e al rispetto degli obblighi internazionali, tradizionalmente attenta ad aprire spiragli di mediazione nelle situazioni più difficili, sembra tacere, molti italiani guardano al Vaticano con fiducia e speranza. Sentono la necessità di atti concreti, volti alla salvezza della popolazione ucraina, che soffre per la guerra dovuta all’invasione. Salvezza della popolazione ucraina, salvezza di una pace giusta nel mondo fondata sul diritto, salvezza dell’umanità dalla catastrofe. Fanno riflettere, a tal proposito, le parole di numerosi generali italiani, che conoscono le potenzialità distruttive della guerra e non concordano con l’invio di armi deciso dalla politica.
Parliamo di tutto questo con Lubomir Žák, professore della Palacky University (Repubblica Ceca), già ordinario alla Pontificia Università Lateranense, specialista di filosofia russa e di teologia luterana. Ha portato avanti diverse iniziative a favore del dialogo ecumenico.
Le terribili immagini che arrivano dall’Ucraina suscitano dolore e tristezza. Vittime innocenti e distruzione, uso di armi devastanti. I cuori semplici si chiedono se si poteva prevedere e prevenire un simile disastro. La politica ha fatto tutto ciò che poteva e doveva?
Immagino che questa domanda sarà a lungo al centro delle discussioni politiche sia in Russia che in Europa e in altri paesi del mondo. In questi giorni ho riletto l’opuscolo Pace sulla terra. Invito alla riconciliazione dei popoli, scritto nel 1918 dal sacerdote e pacifista cattolico Max Josef Metzger, dove risuona la stessa domanda, ma in collegamento con altre questioni. Ad esempio: “Era necessario promuovere ad ogni costo una politica internazionale di isolamento con la quale certi Stati hanno voluto ‘isolare’ del tutto qualche altro Stato? Era necessario mettere in atto una politica e una retorica di militarizzazione che hanno iniziato a corrodere e infine hanno ucciso già fragili rapporti di fiducia e collaborazione tra gli Stati e le nazioni?”. In Germania Metzger fu considerato scomodo per questo suo modo di vedere la situazione. Prima di tutto dai politici. Quando nel 1943 fu condannato alla pena di morte per il suo pacifismo, sul tavolo del giudice nazista Roland Freisler figurava, come una delle prove di colpevolezza, questo coraggioso opuscolo, con le sue pungenti domande rivolte a tutti gli attori del primo conflitto mondiale, ma anche a quelli dei conflitti successivi.
Empedocle faceva notare che l’Odio è una forza distruttrice e corrosiva, capace di portare alla fine di un ciclo cosmico. Si può disattivare o indebolire il terribile meccanismo creatosi, evitando il peggio?
Prima ancora di essere uno stato interiore, psicologico e mentale, l’odio, nelle sue fasi più acute, si può manifestare come un vero e proprio stato di esistenza, caratterizzando l’orientamento globale, le scelte e finalità della coscienza e della vita di un singolo o di una collettività. L’odio è una spada maneggiata, per ferire o uccidere, con occhi bendati o del tutto accecati. L’odio ha in sé una forte componente di irrazionalità. La cosa peggiore è quando l’odio investe intere nazioni, Stati o alleanze di Stati, stabilizzandovisi per anni, decenni o secoli come una sorta di “inquieta placca tettonica”. Se si parla della disattivazione o dell’indebolimento di questa “energia negativa”, è evidente che la soluzione possa consistere solo nel ricorso altrettanto collettivo a una potente “energia positiva”. Metzger, pur essendo politicamente molto realistico, parlava della necessità del ritorno delle parti in conflitto al dialogo, ma soprattutto della forza del perdono. Il perdono, chiesto e generosamente conferito, trascende la ragione, ma non è affatto irrazionale. Il perdono ha una forza curativa che rende possibile la rinascita dei singoli e dei popoli, e che permette di attuare l’ideale di una convivenza pacifica, armoniosa e solidale. Solo quest’ideale ci rende felici, realizzati, perché abita, come una promessa da realizzare, nelle profondità di ogni essere umano.
La legge suprema della Chiesa è la salvezza. La salvezza non è solo spirituale, ma riguarda tutto l’uomo. Cosa sta facendo la Chiesa per riportare al cuore della fratellanza dell’enciclica di Papa Francesco?
L’attuale situazione in Ucraina è enormemente complessa e delicata. Lo è purtroppo anche dal punto di vista delle interpretazioni che ne danno le differenti comunità confessionali, incluse quelle ortodosse. Alcuni pacifisti europei dei primi decenni del secolo scorso avrebbero detto, ne sono convinto, che la guerra in atto è, tra le altre cose, anche un fallimento del cristianesimo. La Chiesa cattolica sta facendo quello che può, in particolare sul piano caritativo, umanitario. Il suo sforzo di aiutare persone ferite o in fuga è crescente e generoso. E questo è lodevole. Ovviamente, i cattolici, assieme ad altri cristiani, invocano il Signore della pace. Mai avrei pensato che in Europa sarebbero ritornate simili “esperienze di ecumenismo”. Qui, però, occorrerà fare anche un altro sforzo, certamente più impegnativo: convincere le comunità cristiane in conflitto che esse, secondo la logica “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto” (cfr. Lc 12,48), devono passare dalla tavola dello scontro e delle reciproche accuse alla tavola della fraternità. Dalla Chiesa non si può aspettare nulla di diverso. Deve creare le condizioni affinché si manifestino le primizie di una vita nuova. La Chiesa stessa dev’essere questa manifestazione. La sua responsabilità storica è di questo tipo. Di questo sforzo che non è solo etico, morale. È prima di tutto profondamente religioso, metafisico.
Come vede la richiesta avanzata dalle autorità occidentali di sanzioni sempre più forti e crescenti, che impattano sulla popolazione?
Non sono un economista. Non riesco a valutare né l’impatto immediato né le future conseguenze di tale scelta per l’una e per l’altra parte. Ho solo l’impressione che le sanzioni siano una spada a doppio taglio. Inoltre, abbiamo a che fare con contendenti, diretti o indiretti, dichiarati o nell’ombra, che possono rimodellare le loro economie, reimpostarle verso altri mercati internazionali e intercontinentali, cosa che ormai è in atto. Il che ovviamente porterà, non bisogna essere veggenti per intuirlo, verso una profonda spaccatura tra alcuni importanti paesi del mondo. Quanto durerà? Chi realmente indebolirà? Quali ne saranno le conseguenze mondiali? Occorre davvero proseguire sulla vecchia strada della “politica di isolamento”, che non ha per niente aiutato a evitare lo scoppio del secondo conflitto mondiale, anzi, l’ha piuttosto preparato?
Come sta vivendo questo periodo drammatico la sua terra, la Slovacchia?
Il mio paese condivide con l’Ucraina un confine lungo quasi cento chilometri. Anche se la maggior parte dei profughi ucraini, soprattutto donne e bambini, arriva in Polonia e in Romania, molti sono stati accolti anche nei centri di accoglienza allestiti nelle città e nei comuni slovacchi. Si stanno mobilizzando tutti: lo Stato, le Chiese e comunità cristiane di ogni denominazione, le organizzazioni umanitarie, ecc. Accolgono i profughi, ma portano anche cibo, medicinali, vestiti, coperte e altro materiale alla popolazione dell’Ucraina occidentale. Tutto questo con un profondo dolore nel cuore per il male che si sta propagando. Un male che ha reso infelici persone che tu ora hai di fronte: bambini piccoli e ragazzi, famiglie straziate per la distruzione delle loro case, donne sconvolte per la morte dei mariti. Come se dietro l’angolo della casa dei miei connazionali si fosse aperta una voragine e dalle sue oscure acque uscissero, una dietro l’altra, le terribili bestie descritte dal profeta Daniele (7,1-12). Ma la compassione e la solidarietà non mancano, grazie a Dio. Di questo sono molto fiero.
Nella sua vita lei ha studiato il pensiero dei martiri M.J. Metzger, P.A. Florenskij, L. Karsavin. Cosa prova e cosa spera?
Provo una forte sintonia con ognuno di loro. Metzger mi insegna il coraggio di andare controcorrente laddove si vuole iniziare a imporre l’idea di colpa collettiva per demonizzare un popolo. Qualunque esso sia. Nei tempi, quando il regime nazionalsocialista imponeva il giudizio su chi era il nemico e chi l’alleato, Metzger ha fondato la fraternità Una Sancta, aprendola ai cristiani dei “paesi nemici”, inclusa la Polonia. Per questa disubbidienza ha pagato con il sangue. Eppure durante il mezz’anno di attesa dell’esecuzione della pena capitale non mai rimpianto le sue scelte. Florenskij e Karsavin sono rimasti fedeli alla visione cristiana del mondo anche quando nella Russia di Stalin si è imposta come unica dottrina ufficiale quella marxista-leninista, fortemente antireligiosa. Entrambi volevano rimanere radicati nell’essenza del Vangelo, nonostante ciò comportasse emarginazioni e penalizzazioni da parte dello Stato. Così hanno trascorso anche gli ultimi anni nel gulag. Da credibili testimoni della fede nella giustizia finale di Dio. Ma anche dell’antica verità: omnia vincit amor. Io spero in questa stessa verità.
(Vincenzo Rizzo)
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