“Si vis pacem para bellum” e “si vis pacem para pacem”. Due affermazioni che sembrano contrapposte, ma in realtà entrambe necessarie per il raggiungimento di una pace che non sia semplice assenza di guerra, ma effettiva possibilità di pacifica convivenza.
Per la prima occorre porre l’accento sulla pace, perché se il fine non è la ricerca della pace, l’armarsi non serve più a difendersi, ma ad attaccare e aggredire altri popoli e Paesi. La seconda, che rimane la più essenziale, sottolinea che la pace è la costruzione continua di situazioni che non portino alla guerra e nelle quali le inevitabili controversie possano essere risolte in via pacifica. Una costruzione continua e lunga che porta a compromessi e anche a rinunce “pro bono pacis”.
Se applichiamo queste due frasi all’attuale guerra in Ucraina, la prima è stata abbondantemente rispettata dai vari contendenti, mentre la seconda è stata decisamente messa in un angolo. L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio fa della Russia l’aggressore, su questo non ci sono dubbi, quindi il principale responsabile delle distruzioni e delle vittime di questa sciagurata guerra. Mosca ha usato il suo “bellum” certa che Stati Uniti e Nato non avrebbero usato il loro, date le ripetute affermazioni a tal proposito di Joe Biden, le cui minacce di rappresaglie si sono sempre limitate a sanzioni commerciali e finanziarie.
Tuttavia, non basta limitarsi a definire Vladimir Putin il cattivo di turno, perché nel frattempo la gente muore e un Paese viene distrutto. Il primo passo è come far finire la guerra e le guerre di solito finiscono con la resa di uno e la vittoria dell’altro, o con un accordo tra i contendenti. Purtroppo, in Ucraina sembra prevalere la prima ipotesi. Putin ha bisogno di una resa degli ucraini per arrivare alle inevitabili trattative da un punto di forza. E rapidamente, per evitare problemi all’interno della Federazione Russa. L’Ucraina non appare disposta a una resa e l’esito potrebbe essere la continuazione della guerra in una sua parte ancora libera e l’inizio di una guerriglia nella parte occupata dai russi.
Per la verità, dietro le esortazioni alla resistenza e la inutile richiesta d’intervento della Nato vi è qualche segnale da parte del presidente ucraino Zelensky in favore di trattative con Putin. Le reazioni, almeno ufficiali, di Mosca non sono molto positive, ma la situazione sul campo dovrebbe portare anche la Russia per lo meno a un cessate il fuoco. Altrettanto dovrebbe portare la situazione interna dove, malgrado i tentativi di nasconderli, verranno presto alla luce i gravi costi umani di questa guerra, mentre i danni economici si stanno già rendendo evidenti. Ed è tutt’altro che accertato che in questa occasione possano essere sfruttate a lungo le grandi capacità di sopportazione del popolo russo.
Zelensky ha posto al centro delle evocate trattative i problemi del Donbass e della Crimea, con riferimento implicito agli accordi di Minsk 2. Anche se il fatto rimane spesso nascosto negli attuali servizi, la guerra in Ucraina non è iniziata tre settimane fa, bensì otto anni fa, nel febbraio del 2014, nel Donbass. La guerra contro i separatisti filorussi ha provocato 15mila morti, tra cui molti civili e, si presume, bambini. Si stima che abbia provocato più di 1,8 milioni di profughi interni, con qualche centinaia di migliaia di rifugiati in Russia. I citati accordi di Minsk sono stati firmati nel febbraio 2015 dall’Ucraina, dalla Russia, dai separatisti e dal rappresentante dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Alle trattative hanno partecipato anche Francia e Germania e l’accordo è stato approvato anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
L’accordo è servito a raffreddare la guerra nel Donbass, dove non si è arrivati a un vero cessate il fuoco, ma gli scontri sono continuati su livelli più bassi. Nulla, però, è accaduto sul fronte della pace, perché le versioni ucraine e russe sull’applicazione delle norme erano radicalmente divergenti su un punto essenziale: l’autonomia al Donbass. La Russia temeva di perdere la propria influenza su quei territori, l’Ucraina temeva che attraverso i separatisti la Russia potesse influenzare anche le decisioni del proprio Parlamento. Si potrebbe dedurre che ciò che chiedevano gli abitanti del Donbass fosse considerato non fondamentale da entrambe le parti.
Come detto prima, per far la guerra basta essere in due, per la pace occorre essere in molti. A Minsk molti erano gli interlocutori, ma la partita finale sembra essere stata lasciata in mano ai due contendenti. Ci si può chiedere se Europa e Stati Uniti abbiano fatto tutto ciò che era in loro potere perché l’accordo fosse messo in atto; si può perfino pensare peggio, che abbiano spinto in qualche modo gli ucraini all’intransigenza e dato a Mosca la sensazione che comunque non sarebbero intervenuti. Almeno quest’ultima ipotesi si è verificata negli ultimi avvenimenti.
Si può amaramente concludere che in questa occasione non è stata rispettata nessuna delle due affermazioni iniziali e le conseguenze si prospettano dolorose, non solo per la martoriata Ucraina.
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