Imperativo: recuperare all’Italia un minimo di ruolo internazionale nel mezzo di questa drammatica fase. Mario Draghi ci sta provando, dopo essersi reso conto del confinamento nella seconda fila. Ai tavoli che contano siedono, insieme agli Stati Uniti e agli inglesi, Macron e Scholz. L’Italia arranca, dando l’impressione di non poter far altro che rassegnarsi al traino franco-tedesco.
Pesano la nostra dipendenza energetica dal gas e dal petrolio russi, cosi come gli ingenti interessi economici di tanti nostri imprenditori, che a Mosca sono di casa. Risalire la china, però, non è affatto impresa facile. Draghi si è mosso tardi alla vigilia della guerra. Era previsto un suo viaggio al Cremlino, e poteva essere l’occasione di tentare una mediazione. Forse è stato ritardato troppo, di sicuro l’invasione è partita prima che si potesse concretizzare, a differenza di Macron e Scholz che con Putin hanno parlato, anche se sono tornati desolatamente a mani vuote.
Nella strategia per tornare sulla scena cruciale l’incontro svoltosi a Roma fra il consigliere per la Sicurezza Nazionale di Biden, Jake Sullivan, e i responsabile esteri del Partito Comunista Cinese, Yang Jiechi. Aver creato le condizioni perché si svolgesse è già un piccolo successo. E nell’incontro a palazzo Chigi con l’ospite americano ha potuto ribadire la necessità di continuare a perseguire una risposta unitaria all’aggressione russa all’Ucraina.
Draghi vedrà Biden il 24 marzo a Bruxelles, quando il Presidente americano parteciperà al vertice straordinario della Nato e alla prima giornata del Consiglio europeo. Sarà forse quella l’occasione per confermare il viaggio a Washington di cui si parla da almeno due mesi. I contatti erano già in corso, la preparazione è entrata nel vivo non appena si è chiusa la partita del Quirinale. Si parla di aprile, al massimo maggio. Con l’attuale inquilino della Casa Bianca il Premier italiano ha un’antica frequentazione, ma questo è il momento di mostrare anche fisicamente la vicinanza fra i due Paesi. Quindi realizzare quel viaggio che è stato ritenuto non urgente per tutto il primo anno del mandato di governo diventa non più rinviabile.
Draghi però ha assoluta necessità di recuperare anche sul terreno europeo. Ecco perché rilevante potrebbe essere il vertice mediterraneo fissato per venerdì a Villa Madama: il Premier spagnolo Sanchez, quello portoghese Costa e (in video collegamento) quello greco Mitsotakis. Prendere la guida dei Paesi del sud Europa potrebbe consentire di arrivare con maggior peso al tavolo del 24 marzo a Bruxelles. Lì si ritroverà un’Unione sfilacciata, dove i Premier di Polonia, Cechia e Slovenia partono temerariamente per Kiev incuranti dei rischi e della contrarietà degli altri Stati. La collocazione italiana a fianco di Francia e Germania non è in discussione, e questo consentirà di insistere con più forza sulle misure economiche per far fronte alle ricadute sull’economia dell’invasione russa. Sul prezzo dell’energia, anzitutto, ma anche su una possibile rimodulazione del Pnrr, oltre alla rassicurazione che nessuno immagina di tornare il prossimo anno alla politica del rigore finanziario. Non a caso grande è negli ultimi giorni l’attivismo di Di Maio, andato a stringere accordi per nuove forniture in Algeria e Qatar, scortato dai vertici Eni.
La linea della fermezza, del resto, l’ha delineata con chiarezza estrema Mattarella, sempre più vero punto di riferimento della politica estera nazionale: il metodo russo della politica di potenza non può e non deve essere accettato, costi quello che costi. Ma quel prezzo deve essere pagato in modo equo, dall’America e dal resto d’Europa. Questa è la vera posta in gioco, non avere dalla guerra di Putin conseguenze economiche più pesanti degli altri. Chiederlo da una posizione di innegabile debolezza non è il massimo, da qui l’assoluta necessità di rafforzare lo standing internazionale dell’Italia e di trovare alleati, in Europa e al di là dell’Atlantico. La piccola Italia deve recuperare il terreno perduto.
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