Nei giorni scorsi il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha nominato una Commissione tecnica dell’Osservatorio nazionale del lavoro agile o “smart” che dir si voglia. Il ruolo di coordinatore è stato affidato a Michele Tiraboschi, ordinario di Diritto del lavoro dell’Università di Modena ed erede del professor Marco Biagi di cui, proprio in questi giorni, si commemora il ventennale della barbara uccisione per mano delle Brigate Rosse.
La Commissione ha il difficile mandato di (ri)definire e implementare l’attuazione e le modalità dello smart working nelle pubbliche amministrazioni superando il regime emergenziale di questi ultimi due anni e di valorizzare pienamente le peculiarità proprie del nuovo strumento di lavoro anche stimolando investimenti significativi nello sviluppo delle competenze del personale come peraltro già previsto dall’ambizioso Piano strategico “Riformare la PA. Persone qualificate per qualificare il Paese”.
Per capire in quale direzione si muoverà il lavoro di questa Commissione può essere, quindi, utile rileggere le conclusioni del paper, scritto a quattro mani, lo scorso anno, proprio dal Ministro e dal Presidente della commissione, dal titolo programmatico “Lavoro agile: una rivoluzione che parte dalla Pubblica amministrazione”
In quella sede si partiva dall’analisi del percorso che aveva portato alla sottoscrizione tra Governo e sindacati del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. Quell’accordo mostrava infatti, secondo gli autori del paper, la presenza di un disegno ben ponderato per accompagnare e agevolare, in modo sostenibile, la transizione dal lavoro agile emergenziale (a loro detta poco più di un lavoro domiciliare forzato) a un moderno smart working nella Pubblica amministrazione ma non solo.
Le Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche rappresentano, sempre in questa prospettiva, la cifra concreta di un più generale processo di trasformazione della Pubblica amministrazione e, al tempo stesso, un chiaro segnale di come il lavoro pubblico possa, e debba, davvero rappresentare un tassello centrale rispetto alle dinamiche messe in campo dalle grandi trasformazioni in atto, digitale ma anche ecologica, per ripensare il lavoro, con tutto quello che questo comporta nei diversi ambiti della vita dei cittadini, nel nostro Paese.
Insieme ad amministrazioni “smart” serve, tuttavia, capire se vi sono, a oggi, cittadini in modalità altrettanto agile. Basti, pensare, infatti alle difficoltà, croniche nel nostro Paese, di accesso alla rete e ai diversi servizi fruibili digitalmente specialmente per le fasce più deboli della nostra società.
Il rischio da evitare, infatti, è quella di creare, forse, un’amministrazione pubblica “smart” e moderna, ma accessibile per un sempre minore numero di persone e di aumentare così il livello complessivo di disuguaglianza che già caratterizza, ahimè, da troppo tempo il nostro Paese e ne mette a rischio la tenuta sociale.
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