La buona notizia è che le esportazioni di vino italiano nel 2021 hanno messo il turbo. Secondo i dati appena rilasciati dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly-Ismea, infatti, lo scorso anno si è chiuso con una crescita del 12,4% in valore, per un corrispettivo di 7,1 miliardi di euro Il settore può così contare su una bilancia commerciale, tra le più performanti del Made in Italy, che segna un attivo di quasi 6,7 miliardi di euro.
Il vino tricolore – nota sempre l’Osservatorio Uiv-Vinitaly-Ismea – consolida il ruolo di superpotenza enologica grazie in particolare alle produzioni Dop, che rappresentano oggi i 2/3 delle esportazioni in valore registrate nel 2021 e che hanno saputo fare meglio della media generale (+15,8% in valore). A spingere nelle vele di questa categoria, sono stati soprattutto gli spumanti (+25,3%) che, grazie all’ennesimo exploit del Prosecco (+32%), doppiano il pur lusinghiero incremento dei vini fermi (+12,3%). Ma va detto che rialzi, seppur più contenuti, sono stati messi a segno anche da Igp (5,4%) e vini comuni (+8,9%).
E non è tutto, perché a dare forza alle solidità della crescita c’è anche l’assoluta trasversalità territoriale del fenomeno. Secondo l’Osservatorio Qualivita Wine su dati Istat, infatti, nel 2021 l’export vinicolo ha registrato un segno più in ben 19 regioni su 20, con crescite a doppia cifra percentuale in 13 casi. E non solo. Sedici regioni su 20 segnano risultati addirittura migliori rispetto al periodo pre-pandemia, con un valore delle esportazioni superiore a quello del 2019. E per 15 regioni, il valore dell’export del 2021 rappresenta il più alto mai registrato per le esportazioni di settore.
Alla base di questo exploit – dice l’analisi di Uiv-Vinitaly-Ismea – c’è un anno sicuramente “gonfiato” da una congiuntura favorevole ai consumi di rivalsa post-Covid. Ma vero è anche che questa congiuntura ha rafforzato un fenomeno già in essere prima della pandemia: la crescita della domanda di vini di qualità, confermata dall’ulteriore allungo del prezzo medio, in aumento nel 2021 del +4,7%.
“Lo scorso anno – sintetizza il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti – l’export di vino ha polverizzato tutti i record, con un risultato che, comparato ai trend pre-Covid, si sarebbe raggiunto nell’arco di un lustro”. Questa felice stagione rischia però di trovare un inaspettato stop già nel 2022. E qui sta la cattiva notizia. “Il quadro è preoccupante, una serie di fattori annunciano un anno difficile – avverte Castelletti, che precisa: “Va considerata la forte erosione dei margini data dall’escalation dei costi delle materie prime del settore. E ancora, il quasi certo azzeramento del mercato russo – su cui si attendono le contro-sanzioni dopo la recente firma di Putin al decreto di blocco import-export dalla Russia – e soprattutto una guerra che, accompagnata alla spirale inflazionistica, influirà in maniera pesante sulla fiducia e quindi sui consumi globali”.
Un combinato disposto che rischia di essere particolarmente penalizzante per un comparto, come quello enologico, che nella Russia ha da sempre individuato uno dei propri principali mercati di sbocco. Secondo Nomisma Wine Monitor, infatti, nel 2021 Mosca ha importato 345 milioni di euro di vino italiano, frutto di un incremento del 18% rispetto all’anno precedente, facendo così del nostro Paese il suo primo fornitore. Un dato già parecchio rilevante, quindi, cui si devono peraltro aggiungere i 56 milioni di euro di esportazioni destinate all’Ucraina. Nei conti dell’Italia quindi mancherà all’appello un cumulato di oltre 400 milioni di euro, una cifra che rende il nostro Paese molto più esposto di altri. Per Francia e Spagna, gli altri top exporter che vendono vino a questi due mercati, il “danno emergente” derivante dal conflitto è infatti più ridotto: Nomisma Wine Monitor stima che per i francesi il deficit si fermerà a 217 milioni di euro, per gli spagnoli a 146 milioni, vale a dire rispettivamente il 2% e 5% dell’export totale di vino.
A fare le spese di questa contingenza – mette in guardia Nomisma Wine Monitor – saranno in particolare alcune produzioni nazionali, che potrebbero soffrire più di altre. “Nel caso dell’Asti Spumante – dichiara Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare e Wine Monitor di Nomisma -, parliamo della potenziale perdita di un quarto del proprio export, così come del 20% delle vendite oltre frontiera di spumanti generici italiani o del 13% di vini frizzanti”. Meno preoccupanti sono invece le proiezioni per il Prosecco, prima denominazione italiana esportata nel mondo: in questo caso – rileva sempre Nomisma Wine Monitor – il peso delle esportazioni in Russia e Ucraina è inferiore al 5%, anche se va detto che negli ultimi tre anni le vendite della nostra più famosa “bollicina” in questi due mercati erano raddoppiate.
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