Nel febbraio del 2014 iniziava la guerra nell’Ucraina orientale, il Donbass, tra l’esercito regolare ucraino e i separatisti filorussi, un conflitto che ha provocato almeno 15.000 morti e 1,8 milioni di rifugiati. Sempre nel 2014 iniziava nello Yemen la ribellione al governo centrale degli houthi sciiti, sostenuti dall’Iran, preceduta da una serie di scontri tra le varie componenti del complesso Paese, risalenti a una decina di anni prima.
Nel marzo del 2015, il presidente yemenita Mansour Hadi è fuggito in Arabia e i sauditi sono intervenuti nel conflitto alla guida di una coalizione di una decina di Stati arabi sunniti, appoggiati da Stati Uniti e Regno Unito.
Secondo le Nazioni Unite, la guerra ha causato più di 100.000 morti, cui si devono aggiungere almeno 130.000 morti per mancanza di cibo e di cure. Si stima che più di 10.000 bambini siano morti o siano stati feriti, ma l’Unicef ritiene che i numeri reali siano molto più elevati.
Nello scorso gennaio, sia l’inviato speciale dell’Onu nello Yemen che il Segretario generale hanno denunciato l’acuirsi degli scontri tra le varie fazioni, con pesanti conseguenze economiche e soprattutto umanitarie su quella che l’Onu ha definito l’attuale peggiore catastrofe umanitaria. L’Onu ha condannato gli attacchi aerei e missilistici delle ultime settimane, che hanno colpito ospedali, infrastrutture, aeroporti, un acquedotto e una scuola. Condannato anche l’attacco aereo del 21 gennaio da parte della Coalizione saudita, che ha colpito a Saada un carcere dove erano anche ospitati dei rifugiati. Il bombardamento ha causato 91 morti e 226 feriti tra cui, secondo l’Ong Save the Children, donne e bambini.
L’intervento armato dell’Arabia Saudita contro un altro Stato aveva l’obiettivo di sostenere il governo di Hadi, che si è ora insediato ad Aden, essendo la capitale Sanaa in mano agli houthi. Continua, quindi, e con pesanti conseguenze, una guerra che dura da più di sette anni, ma che si pensava, probabilmente, si sarebbe risolta in breve, una semplice spedizione punitiva nei confronti dei ribelli. Invece, gli houthi non sono stati sconfitti e, accanto al disastro umanitario, si assiste ad una sempre maggiore frammentazione dello Yemen.
Dallo scorso anno, i ribelli hanno ripetutamente dimostrato di essere in grado di colpire il territorio saudita con droni e missili, che si pensa siano forniti dall’Iran. Ultimamente, gli houthi hanno rivolto i loro attacchi all’altro Stato arabo attivamente impegnato nello Yemen: gli Emirati Arabi Uniti. Negli Emirati, due attacchi missilistici rispettivamente contro Abu Dhabi e Dubai hanno causato tre morti e sette feriti. Altri due attacchi sono stati effettuati alla fine di gennaio contro la base americana di Al Dhafra, durante la visita del presidente di Israele Isaac Herzog, uno degli esiti, non indifferenti, degli Accordi di Abramo voluti da Donald Trump. Come riporta Al Monitor, gli Stati Uniti hanno spostato propri aerei negli Emirati a protezione contro futuri attacchi e una nave con apparati anti-missili a pattugliare le acque territoriali emiratine.
Nello scorso dicembre, il Senato degli Stati Uniti ha rigettato la proposta di un gruppo di parlamentari, sia Repubblicani che Democratici, di bloccare la vendita di armi all’Arabia Saudita per più di 650 milioni di dollari. La stessa cosa era ripetutamente successa con Donald Trump, obbligato a ricorrere al diritto di veto per poter continuare a vendere armi ai sauditi.
Le critiche ai sauditi non si limitano al modo in cui conducono la guerra, non molto attento a non causare “danni collaterali”, come vengono definite le vittime civili se causate da alleati o amici. Viene ricordato il caso del giornalista Khashoggi, dietro il cui assassinio nel 2018 si ipotizza lo stesso uomo forte di Riyadh, Mohamed bin Salman, e la repressione interna. Un certo scalpore hanno fatto le recenti 81 esecuzioni capitali in un solo giorno nella capitale e in altre città dell’Arabia Saudita.
Intanto, lo World Food Programme, agenzia dell’Onu, ha annunciato lo scorso dicembre che stanno diminuendo i fondi a disposizione per lo Yemen. E’ perciò a rischio la completa esecuzione dell’attuale programma di assistenza alimentare a 13 milioni di persone nel Paese. La cifra mancante per la continuazione del programma per tutto il 2022 è di quasi 2 miliardi di dollari. Le previsioni di WFP sono che alla fine dell’anno potrebbero essere 19 milioni gli yemeniti bisognosi di aiuti alimentari.
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