La guerra tra Russia e Ucraina non riguarda solo i due contendenti, non è un problema tra aggressore e aggredito. Non è solo la guerra tra Putin e Occidente, tra Cremlino e Alleanza atlantica.
E’ forse il primo round della lotta per la costruzione del nuovo ordine mondiale, quello per intenderci 2.0. Stiamo assistendo in diretta alla scontro su quali saranno le nuove regole che governeranno nel prossimo futuro i comportamenti tra gli Stati e la loro gerarchia.
Perché in verità ci troviamo davanti ad un evento mai avvenuto dopo la caduta del muro di Berlino. Non stiamo parlando della guerra tra una superpotenza, anche se molto acciaccata come la Russia, ed uno Stato sovrano di gran lunga più debole. Erano già avvenuti cataclismi di questo genere, conflitti nella ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Georgia, nella stessa Ucraina.
Oggi però assistiamo a qualcosa di diverso. È uno scontro tra schieramenti che avviene su tutti i fronti, militare, diplomatico, economico, finanziario, comunicativo e che coinvolge tutto il mondo. Ed è, anche se non sembra, l’esatta manifestazione di una guerra asimmetrica, guerra in tutti gli ambiti del sistema mondiale. Guerra senza esclusione di colpi che speriamo non diventi totale. Guerra dove ogni contendente sceglie il terreno ed i metodi dove attaccare a seconda dei propri punti di forza e delle debolezze del nemico.
Perché la Nato è in guerra contro la Russia, non combatte direttamente ma fornisce armi all’Ucraina e ha scatenato una guerra economica contro Mosca.
Guerra mondiale anche se limitata. Ci sono i Paesi Nato, ma è coinvolta la Bielorussia, la Cina, ci sono gli Stati che si sono astenuti all’Assemblea generale dell’Onu, l’India, i comportamenti dell’Arabia Saudita.
La guerra vera e propria, quella dove muoiono le persone ed in primo luogo chi non c’entra niente, quella che si svolge sui campi di battaglia, avviene in Ucraina tra due eserciti ed è quella che fa notizia. Qui è l’ex Armata Rossa a dettare le regole, il ferro e la carne dettano legge. I numeri, la storia, la tradizione, non scherzano. Non facciamoci ingannare dai proclami, dalle immagini dei convogli russi impantanati nel fango. La strategia dell’assedio e dei bombardamenti prima o poi avrà la meglio. È solo questione di tempo.
Vi è è poi la guerra economica, quella delle sanzioni, quella scatenata dall’Occidente per strangolare Putin, colpire la cerchia degli oligarchi, prosciugare l’acqua della vasca dove nuota, sperando in un colpo di Stato.
E poi in ultimo, poco illustrata all’opinione pubblica, quella che sembra essere la vera partita mondiale. Quella per intenderci che riguarda non solo i rapporti tra Russia e Ucraina supportata dalla Nato. Stiamo parlando dello scontro per il controllo dell’accaparramento delle materie prime e del ruolo adesso egemone del dollaro come moneta.
La questione nella sua brutalità è semplice. Leggo su Agrifood, rivista specializzata in agricoltura: “La Russia, il più grande esportatore mondiale di fertilizzanti, gas e grano, ha invaso l’Ucraina, Paese che è il terzo fornitore mondiale di grano. In particolare, Kiev è il quarto più grande fornitore esterno di cibo dell’Ue, circa un quarto delle sue importazioni di cereali e olio vegetale, inclusa quasi la metà del suo mais proviene infatti dall’Ucraina. L’Ue dipende da Kiev per alcuni prodotti in particolare: l’olio di girasole (88%), colza (41%) e miele (26%). Il mais importato è invece fondamentale per il mangime utilizzato negli allevamenti di maiale e polli del continente”. Ancora, “le due ex repubbliche sovietiche forniscono insieme circa il 23% delle esportazioni globali di questo cereale, secondo le stime del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda). In base ad altri calcoli, la percentuale combinata sarebbe più vicina al 30%”.
Cifre impressionanti che riportano alla memoria le conseguenze che ebbe il rialzo dei prezzi delle derrate alimentari nella crisi alimentare nel Magreb nel 2008. “Tutto questo sta colpendo i più poveri e gettando i semi dell’instabilità politica e dei disordini in tutto il mondo”, parole del segretario generale Onu António Guterres. Ben 45 paesi africani importano infatti almeno un terzo del loro grano dall’Ucraina e dalla Russia e 18 di loro, tra cui Egitto, Congo, Burkina Faso, Libano, Libia, Somalia, Sudan e Yemen, ne importano almeno il 50%.
Per quanto riguarda il petrolio, la Russia è il terzo produttore al mondo con 11,3 milioni di barili al giorno, dopo Stati Uniti e Arabia Saudita. E l’Europa è il primo cliente del greggio russo, con acquisti pari al 60% dell’export totale, con l’Italia che ne importa il 13% del proprio fabbisogno.
E infine la guerra delle valute, la partita delle partite, con al centro l’attacco all’egemonia del dollaro e la de-dollarizzazione del commercio a partire dalle relazioni russo-cinesi. Ma fatto ancora più eclatante risulta essere il comportamento dell’Arabia Saudita, nonostante abbia con Washington un patto di ferro a partire dal 1945. Prima Riad ha rifiutato di venire incontro alla richiesta americana di pompare petrolio per abbassare il prezzo del greggio saltato alle stelle a causa della guerra, e poi ha accettato la valuta cinese al posto del dollaro nella vendita di petrolio a Pechino. Ma a sottolineare la distanza di Riad, ecco per di più l’acquisto di dodici aerei da addestramento cinesi L-5.
La corsa a far entrare lo yuan tra le valute forti è appena iniziata, le riserve delle banche centrali in moneta cinese sono appena il 2,7% contro il 59,1% in dollari e il 20,5% in euro, mentre la stessa banca centrale russa detiene il 32,3% in euro, 21,7% in oro, 16,4% in dollari e 13,1% in yuan. Ma il congelamento delle riserve della stessa banca centrale di Mosca non ha fatto altro che accelerare il processo di allontanamento dal dollaro.
Queste sono le ragioni perché la guerra scatenata da Putin è la prima guerra del XXI secolo per disegnare il nuovo ordine mondiale. Gioco dove i contendenti non dispongono delle stesse armi e le interdipendenze sono più forti di quanto sembri, a partire dagli stessi Stati Uniti, paese con un’industria declinante, un debito pubblico di 28.500 miliardi di dollari, di cui circa 1.100 miliardi detenuti dalla Cina, pari al 123% del Pil nel 2021 e con il dollaro moneta mondiale di riferimento sotto attacco.
In un’economia mondiale integrata, non basta disporre del primo esercito del mondo ed essere autonomi dal gas russo per dettare le proprie condizioni. A riprova, è sufficiente guardare come si siano comportati sulle sanzioni non solo l’Arabia, ma India, Messico e Israele. Tutti paesi non certo nemici degli Stati Uniti.
L’unipolarismo americano è finito per sempre. Prima o poi la guerra in Ucraina finirà con un accordo. Affinché sia duraturo, oltre che a confini e questioni di sicurezza, oltre alle delegazioni russe ed ucraine intorno al tavolo della pace devono sedere tutte le grandi potenze per disegnare una nuova Yalta, una nuova Bretton Woods, un nuovo ruolo dell’Onu con un Consiglio di sicurezza ripensato. Perché Putin passerà, ma la Russia, la Cina, l’India sono destinate a restare e a contare sempre di più.
E fin da ora bisogna che le leadership mondiali, compresa la piccolissima Italia, discutano delle condizioni generali della pace per disegnare un nuovo ordine mondiale.
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