Siamo arrivati ad un punto nel quale il rispetto dovuto alle migliaia di morti e al dolore di tante famiglie, sia ucraine che russe, richiede, assolutamente, una soluzione di pace. In fondo questo lo desiderano sia il presidente dell’Ucraina che quello della Federazione Russa. In guerra tutti perdono, mentre nella pace si può recuperare un po’ di quello che si è perso.
Prima regola di queste trattative di pace: poter dare a ciascuno dei contendenti la possibilità di offrire al proprio popolo almeno l’impressione di avere vinto.
In tal senso questo non può essere il momento della definizione delle colpe. Questo è un compito che si può lasciare ai commentatori, e in ultima sede, per chi crede, a Dio. I capi ora devono preoccuparsi solo di trovare “una via d’uscita”.
Tre settimane fa, quando ancora l’invasione (o la “operazione speciale”, chiamatela come volete) non era cominciata, ho proposto insistentemente che una trattativa partisse proprio da quel trattato sottoscritto il 15 maggio 1992, ribadito ad Astana nel 2002 e noto come “Dogvavor o collektivoi bezopasnosti” (Trattato di sicurezza collettiva). Protagonista di questo trattato stipulato dalla Federazione Russa e da alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica fu certamente Putin. Io, come ho già scritto, ero presente nell’Aula magna dell’Università Eurasiatica di Astana dove insegnavo (oltre che all’Accademia Diplomatica) alle firme apposte dai presidenti nel 2002. Allora, dato che conosco bene la lingua russa, rimasi colpito dall’atteggiamento di superiorità che nei momenti prima della cerimonia ufficiale Putin mostrò verso gli altri presidenti, compreso quello del Kazakistan, che in fondo era il padrone di casa.
C’era stato da poco l’11 settembre, cominciava la campagna anti-Bin Laden e qualcuno iniziava a preoccuparsi che dopo la fine del Patto di Varsavia e dopo il progressivo allargamento della Nato, si potesse contare su alcuni alleati; soprattutto in considerazione del fatto che l’Asia centrale è vicina a molti punti caldi ed è un cuscinetto naturale tra l’Europa (Russia compresa) e la Cina.
Non a caso, il passo successivo di quel trattato fu la costituzione nel 2007 del gruppo di Shangai. E non mi sembra che allora ebbe molto a dispiacersi l’Unione Europea, se decise di finanziare abbondantemente la costruzione della Nuova Via della Seta.
Ma torniamo al nostro Dogavor. Il Trattato di sicurezza collettiva del 2002 nasce come sviluppo di quello del 1992, l’anno successivo alla fine dell’Urss. È un trattato che stabilisce un’alleanza militare che riafferma l’impegno dei suoi membri a rinunciare alla minaccia o all’uso della forza nella risoluzione delle controversie tra i firmatari e introduce la clausola di aiuto solidale in caso di un attacco da parte di paesi “esterni”, che in questo caso sarebbe considerato un attacco a tutti i sottoscrittori del trattato.
Proprio dal 2002, in attuazione del trattato, l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto) si è dotata di infrastrutture militari comuni e opera momenti di addestramento.
È significativo il fatto che durante il conflitto russo-georgiano del 2008 e durante il conflitto del Donbass i Paesi dell’Organizzazione (Russia, Kazakistan, Bielorussia, Armenia, Tagikistan e Kirghizistan) non si siano sentiti di intervenire, perché in questo caso non hanno giudicato che si trattasse di un attacco da parte della Georgia o dell’Ucraina contro la Russia, come è evidente. Del resto la Federazione Russa ha pensato di risolvere da sola le questioni, che, dal suo punto di vista, riguardavano la difesa di minoranze russe da quei Paesi.
In modo diverso si sono comportati i paesi dell’Organizzazione in occasione dei disordini in Kazakistan, che secondo il presidente Tokayev erano suscitati da non precisati agenti stranieri.
Ora, come già detto e scritto, mi pare che, paradossalmente, la base attuale della trattativa possa proprio essere questo trattato; che l’Ucraina, rinunciando ad entrare nella Nato, può sottoscrivere con altri paesi. D’altra parte Putin non potrebbe smentire se stesso, avendo lui voluto quel trattato, che anzi potrebbe presentare come una soluzione dei problemi, ispirati – almeno in parte – da lui medesimo.
Il vero problema allora mi sembra un altro: quali Paesi tra quelli “coraggiosamente” schierati con l’Ucraina sarebbero disposti a sottoscrivere un trattato che di sua natura è militare (come del resto è anche la Nato)?
Speriamo che alla fine il trattato non sia sottoscritto solo dalla Città del Vaticano, perché, oltre ad altre ovvie considerazioni, non mi pare che le pur gloriose Guardie svizzere possano dare un grande affidamento.
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