Partiamo da un dato di fatto: i bimbi che oggi frequentano le scuole primarie potrebbero trovare un Paese autonomo dal punto di vista energetico una volta ventenni, quindi tra circa 10-14 anni. Questo a patto che si rivedano certe scelte. Possibile, ma serve lavorare molto, oltre le ideologie e oltre le solite liti di Palazzo.
Chiariamo: una completa autonomia commerciale nel rispetto dei vincoli Nato (nella parte militare) e la possibilità di accordi bilaterali con Russia (energia), Usa (finanza), Cina (commercio e produzione) come di fatto applicata fino al 2022 non è più possibile. Troppo instabile il panorama internazionale, poco l’equilibrio economico, che comporta un rischio di dipendere da terzi.
Servono materie prime e acciaio (quindi va risolto anche il problema Ilva, o non si può produrre in loco). Serve una Banca d’Italia che torni all’origine o lavori tramite programmi oltre il Pnrr, ormai con obiettivi obsoleti. Serve nazionalizzare le aziende di Stato sul modello giapponese, ovvero in forma ibrida con il settore privato, con emissione poi di corporate bond. Servono tagli lineari alla burocrazia e creazione di un sistema “azienda 48”: se tutto è in ordine, in 48 ore puoi aprire la tua attività (ti sottoponi in itinere a verifiche periodiche).
Il sistema a corporate bond interni per Pmi e libertà di bilancio con debito autofinanziato (come fino al 1981) non necessita di bond legati alla Ue, che diventerebbero abbastanza inutili, se non dannosi per chi come noi ha un debito per due terzi in proprio possesso, quindi non dipende dall’estero. Possibilità d’accordo simil-Cee con la Ue e creazione di “unioni economiche strategiche”, su acciaio o energia con Stati ricchi di materie prime (che l’Italia poi trasformerebbe come prima del 1992 e del 1989, quindi oltre Russia e Cina). Totale libertà di riforme, potenziamento massimo del settore turismo e cultura legati ai territori (almeno un punto percentuale di Pil annuo), con obiettivo da raggiungere: tornare al primo posto (ora siamo quinti) nella classifica mondiale. Accordi diretti con Paesi arabi per forniture di petrolio da raffinare anche in Paesi terzi, sempre tramite equo scambio e cooperazione internazionale basata non solo su versamenti, ma soprattutto puntando ad aumentare l’emancipazione economica.
Veniamo ai contro. Sarebbe ovvio e logico l’aumento delle spese militari e il rischio concreto di non essere competitivi a livello globale con certi settori “troppo provinciali”, anche se di qualità. Revisione obbligata della politica energetica, anche quella nucleare, magari con approcci meno ideologici o in modalità ibrida con il fotovoltaico, che alcune Regioni non hanno voluto, senza una vera visione d’insieme: scelte scellerate che oggi paghiamo caro. Necessità di ingenti infrastrutture che rischierebbero blocchi in caso di mancata sburocratizzazione. E la speculazione finanziaria da parte di soggetti esterni con rischio di isolamento, visto che, in caso di crisi internazionali, un attacco ai titoli italiani non sarebbe da escludere.
La Bce ha ampliato a oltre 600 miliardi la propria potenza di fuoco, arrivando a un valore medio complessivo pari a 1.350 miliardi. I titoli acquistati in questo contesto verranno reinvestiti almeno fino al termine del 2022, con tassi sempre allo 0% sul rifinanziamento, allo 0,25% per il marginal lending facility e al -0,5% sui depositi. Finché Lagarde, nonostante qualche dichiarazione sibillina, fa il suo e continua a farlo, onde evitare pericolose contrazioni di liquidità, stare nell’area euro conviene.
Sono da evitare soluzioni con il “pilota automatico”, ovvero affidamento totale alla Ue (tramite vincoli di bilancio), una sorta di resa economica che certifica l’incompetenza del decisore politico. In questo modo il Paese sarà influenzato, a prescindere dal suo corso elettorale, da veti di Stati terzi, condizionati da interessi nazionali altrui, relegando di fatto la seconda manifattura d’Europa e terza forza economica (settima mondiale) a un ruolo di seconda fascia, che sarebbe deleterio per le nostre industrie.
Sia anche chiaro che commerciare con la Cina è fondamentale, ma serve un cambio di passo: avere le materie prime a buon costo e produrre qui. Le produzioni vanno riportate in Italia e ovviamente per farle ripartire serve energia, quindi la combinazione rinnovabili-nucleare pare la più veloce e indicata. I prezzi alle stelle indicano due pericoli: inflazione e deflazione, ora la prima è a forte rischio con la crisi energetica causata dai fatti ucraini. Con la Russia sarà complicato normalizzare i rapporti, quindi la via energetica autonoma pare scontata.
“Non è possibile pensare di chiudere le centrali a combustibili fossili, puntando solo su fotovoltaico ed eolico. Il nostro consumo totale di energia primaria oggi è di 169 Mtep, corrispondenti a circa 1.965 TWh, mentre l’energia elettrica in rete è di circa 300 TWh, quindi siamo a un sesto circa dell’energia consumata in Italia all’anno (dati 2019 ante pandemia). Pertanto, il Paese non si decarbonizza unicamente agendo con fotovoltaico ed eolico sulla sola quota elettrica attuale: infatti l’impiego di fossili nei trasporti, nell’edilizia, nell’industria è molto elevato. Inoltre, l’elettrificazione dei trasporti richiederà un’ulteriore produzione di energia elettrica e questo rende ancora più complesso il raggiungimento degli obiettivi a breve e medio termine”. Lo afferma Aristide Massardo, professore di Sistemi per l’energia e l’ambiente al Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti dell’Università di Genova: questo è lo spaccato del Paese a livello energetico.
In buona sostanza, serve libertà di bilancio e un ente nazionale che gestisca la produzione energetica, nel mentre vanno aiutati imprese e cittadini grazie a liquidità da debito sulla casella “investimenti”, questo fino al 70% di copertura del fabbisogno nazionale.
Stiamo pagando dazio a causa di scelte precedenti; l’economia si può riequilibrare solo tramite azioni coraggiose e shock. In alternativa, si continuerà ad andare in crisi ad ogni evento mondiale: il lazo della globalizzazione va tagliato.
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