Caro direttore,
il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha lanciato l’altra sera un allarme oggettivo e brutale: “Con questi prezzi di gas e luce le imprese non sopravvivono”. Un’affermazione che ha peraltro esposto anche Visco al rischio di accuse di disfattismo, o – peggio – al sospetto-anatema di essere “un pifferaio di Putin”, secondo il gergo da caccia alle streghe sfoderato dal Pd.
Il marchio d’infamia è stato coniato contro Alessandro Orsini, ricercatore al Mit di Boston e geopolitologo presso la Luiss di Confindustria, invitato dal talk show Rai condotto dalla figlia del segretario del Pci “sovietico”.
Questa sembra infatti una priorità del momento per il partito pilotato da Enrico Letta: chi viene invitato sulla tv di Stato (in particolare su Raitre, storica proprietà privata della sinistra italiana) e quanto viene pagato. Non quanto gli elettori italiani stanno pagando la micidiale inflazione da gas o le rivelazioni sempre più inquietanti sulla “missione umanitaria” di militari russi in Italia, autorizzata all’inizio della pandemia dal premier di un governo sostenuto dal Pd, dopo una telefonata con lo stesso Putin.
Per non rammentare di quando lo stesso Letta, premier uscente, non rinunciò a una “photopportunity” sulla tribuna inaugurale delle Olimpiadi di Sochi 2014: quando giù Putin stava meditando l’invasione della Crimea e le fratture interne all’Ucraina prodotte della controversa “rivoluzione” di Piazza Maidan stavano sfociando nella prima guerra del Donbass.
Chissà se nella gabbia dei “pifferai di Putin” il Pd spingerebbe anche un illustre compagno di S&D in Europa – il cancelliere socialdemocratico tedesco Olaf Scholz – e il suo ministro delle Finanze, il leader liberaldemocratico Christian Lindner. Entrambi la settimana scorsa hanno applaudito in piedi il presidente ucraino Zelensky, in collegamento con il Bundestag. Ma ciò non ha poi impedito a Scholz di affermare davanti ai parlamentari tedeschi che la Germania “non può permettersi un bando totale delle forniture di gas russo”. Berlino non può e non vuole seguire l’escalation – sostenuta soprattutto dagli Usa, indipendenti dal gas russo a migliaia di chilometri oltre Atlantico – sul fronte delle sanzioni energetiche: dove l’altro ieri il Cremlino ha spregiudicatamente aperto un fuoco controffensivo imponendo (principalmente all’Europa) il pagamento in rubli per difendere la sua valuta.
“La Germania entrerebbe in una grave recessione”, ha detto Scholz (e Visco lo ha letteralmente copiato il giorno dopo guardando all’Italia). Lindner, dal canto suo, ha proposto un “piano Marshall” per l’Ucraina come più efficace forma di sostegno al futuro del Paese attaccato dalla Russia. Un ministro delle Finanze – un uomo di Stato – non poteva scegliere miglior argomento per sostenere un’istanza geopolitica profonda: è già meglio pensare alla ricostruzione della “Nuova Ucraina”, per come sta emergendo dal primo mese di una guerra che prima cesserà e meglio sarà. Per tutti: anche per l’Ucraina, come segnala lo stesso Zelensky, anche se con toni resi inevitabilmente alterni dall’enorme concitazione bellica. Una posizione – di deplorazione per la via delle armi o delle sole sanzioni e di auspicio di “nuove impostazioni” – che è stata fatta propria ieri anche da Papa Francesco.
L’Europa – secondo il ministro delle Finanze tedesco – può e deve aiutare “un’Ucraina libera”, in parte distrutta e forzatamente ridimensionata dall’occupazione russa. E se nel quadro prevedibile di una tregua l’Ucraina dovrà rinunciare all’ingresso nella Nato, Kiev va invece appoggiata tenendo aperto un canale diplomatico di adesione all’Ue (come si è augurato anche il premier italiano Mario Draghi) in un’Europa che sta ricostruendo la sua difesa. Un’Europa che – ha sottolineato Lindner alla vigilia della visita del presidente Usa Joe Biden a Bruxelles – dovrebbe anche sollecitare la riapertura dei negoziati transatlantici Ttip: per far scorrere meglio ogni scambio civile e pacifico all’interno dell’“Occidente 2.0” (e sarebbe opportuno che fra i beni di transito libero e anzi agevolato vi fosse anche l’energia prodotta nel Nord America). Usa e Ue non possono invece ritrovarsi solo per decidere aiuti militari all’Ucraina e sanzioni più dure alla Russia, consolidando una “guerra “per procura” ai confini europei.
Tutti disfattisti, a Berlino, tutti “pifferai di Putin”? O, più verosimilmente, uomini di Stato diversi da Letta e da Conte?
PS: vi sono pochi dubbi che nell’arsenale militare russo vi siano armi chimiche e che il rischio di loro uso – paventato da Biden – sia oggettivo e drammatico. Sono tuttavia le stesse armi che il dittatore siriano Assad ha utilizzato nel 2013 contro i civili di Aleppo: senza che il presidente Usa Barack Obama, il suo vice Biden e il segretario di Stato Hillary Clinton ritenessero Damasco meritevole di allarmi, avvertimenti-linea rossa, sanzioni successive o ritorsioni belliche. Né quella Casa Bianca (presieduta da un Premio Nobel per la Pace) giudicò opportuno un serio e reale intervento di “peacemaking” in Siria, dove già da allora scorrazzano le forze armate russe. Analogamente, l’anno dopo, l’America “dem” – la stessa che nel 2011 aveva sostenuto l’“operazione militare speciale” della Nato contro la Libia, con ricadute russe – prese atto dell’occupazione putiniana della Crimea: forse consapevole che si trattava almeno in parte di una inevitabile reazione “regionale” alla fresca “svolta arancione” di Kiev. L’America (dem) del napalm in Vietnam, d’altronde, aveva agitato lo spettro delle “armi chimiche di distruzione di massa” per convincere l’Onu a dare via libera alla guerra contro l’Iraq, nel 2003. Una guerra forse “giusta” sul piano geopolitico: alla minaccia di Saddam Hussein per gli strategici giacimenti di petrolio della penisola Saudita nel 1990 si era aggiunto nel 2001 il terribile attacco alle Torri Gemelle, l’unica aggressione militare subita dal suolo Usa dopo Pearl Harbor. Però a quasi vent’anni di distanza, a credere che di quelle armi l’Iraq disponesse davvero sono sempre meno. Nel frattempo l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, primo e principale “fan” della guerra Nato contro la Libia, è finito sotto processo in Francia: è stato indagato per sospette tangenti ricevute dall’allora leader libico Gheddafi. Fisicamente eliminato dalla guerra Nato.
(Chi ha scritto queste note è sospettabile a prescindere di essere “un pifferaio di Putin”)
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