Com’è facile perdere il senso della realtà anche davanti a una realtà tanto cruda, tragica e sconvolgente come la guerra a cui stiamo assistendo. Com’è facile nascondersi nei fumi di dietrologie geopolitiche, considerazioni pseudopacifiste a buon mercato o recriminazioni per altre guerre ingiuste e passate sotto silenzio dall’Occidente. Curiosamente, l’unica recriminazione che non ho visto è il mea culpa per i profughi provenienti dal continente asiatico o africano, periti nelle traversate, oppure rifiutati o emarginati…
Forse perché, a differenza di tutte le altre, quest’ultima recriminazione non serve da tranquillante per la coscienza, ma ci interpella in prima persona. Eppure, in questa catastrofe, l’unico elemento positivo è proprio l’interrogativo che mi ha espresso, nei primi giorni del conflitto, un amico russo che aveva sempre sostenuto la politica del suo Paese e – come tutti noi – non aveva mai creduto realmente possibile un’invasione armata: “Ma Dio ha avuto bisogno di scatenare una sciagura simile perché io finalmente potessi aprire gli occhi?”.
Aprire gli occhi su che cosa? Non innanzitutto sul male – che abbiamo davanti agli occhi, anche se ci ostiniamo a non guardarlo divagando sui nostri pregiudizi – ma sulla sorprendente possibilità di vivere finalmente all’altezza della nostra umanità, lasciando da parte la ricerca del proprio tornaconto come scopo delle giornate per far spazio alla compassione, alla solidarietà, alla condivisione. È un’esperienza vissuta da chiunque abbia avuto modo in questi giorni di aiutare o accogliere dei profughi. Come ha scritto recentemente padre Vladimir Zelinskij, parroco della chiesa ortodossa russa di Brescia di fronte al sorprendete dispiegarsi di iniziative pro–Ucraina: “… non si tratta solo del mettersi in moto della carità solita, quasi automatica, ma di una cosa più profonda, che va a rispondere al rimprovero dell’Apocalisse: ‘Hai abbandonato il tuo primo amore’ (Ap 2,4). L’hai abbandonato, ma a un tratto ti sei ricordato di quello che avevi dimenticato, l’hai reincontrato dove non ti aspettavi di incontrarlo, l’hai riconosciuto in queste fisionomie slave. Ti sei nuovamente innamorato. E il primo amore dell’Occidente, qualunque cosa si pensi di esso, è la libertà”.
Dopo il fallimento dell’ordine mondiale basato sugli equilibri finanziari, sui trattati che regolano gli armamenti, sulla Realpolitik, forse è arrivato il momento di raccogliere questa sfida, non con il sorriso ironico di chi vede reali solo i linguaggi della forza o del soldo (oggi entrambi in default), ma con il cuore contrito di chi raccoglie i frutti di decenni di violenze, di “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”, e cerca umilmente una via di uscita dalla “selva oscura… tanto amara che poco più è morte” in cui l’umanità sembra incappata.
Nelle infinite discussioni di questi giorni molto si è parlato del discorso del patriarca Kirill in merito al significato “metafisico” di una guerra che andrebbe a colpire il pervertimento morale dell’Occidente. In Italia erano, e forse sono ancora, in molti a pensare che Putin sia il campione della battaglia per i valori della tradizione, il difensore del “territorio della verità sulla terra”, come dice ancora padre Zelinskij. Che osserva: “È proprio questa indivisibilità della fede dai chilometri quadrati di territorio, che si è annidata nel subconscio, a determinare l’appoggio anche di chi dovrebbe mettere al primo posto il comandamento ‘non uccidere’. No, invece, ‘uccidi, uccidi!’, c’è chi esclama allegramente, perché è in gioco quanto abbiamo di più sacro, e come ammettere che su un territorio sacro mettano piede armi altrui o una gay parade?”.
Ciò che è in gioco, nella coscienza di tanti cristiani in Occidente e in Russia, è in realtà la concezione di un cristianesimo, di una Chiesa che per troppi secoli ha fatto affidamento sul braccio secolare, ha scelto la via del Grande Inquisitore invece di quella di Cristo, preferendo al rischio della libertà l’imposizione di norme etiche da seguire – con il fattivo ausilio dello Stato a colpire chi derogasse. A chi si straccia le vesti davanti al discorso di Kirill si potrebbe rispondere che le gerarchie della Chiesa hanno parlato così per secoli (spesso anche in Occidente, purtroppo, almeno fino alla Prima guerra mondiale, con luminose eccezioni come l’inascoltato Benedetto XV).
Il compromesso con il potere è un peccato secolare che ha assunto molteplici forme storiche e, ritornando oggi nell’atteggiamento dei vertici della Chiesa ortodossa russa, scandalizza e ferisce in modo particolarmente doloroso molti suoi fedeli. Ma proprio la “caduta ucraina”, come la chiama padre Zelinskij, “in forza della sua gravità ha mostrato l’inaccettabilità, il fallimento della concezione di Chiesa esistente in passato. Qui abbiamo in qualche modo toccato il fondo. E queste cose non le dico per accusare una volta di più, con gusto maligno e accanimento, il patriarca. Le dico perché possiamo voltare le spalle a tutto ciò che ci sta dietro. Perché il cristianesimo è solo all’inizio. E inizia ritornando nuovamente alla persona creata a immagine di Dio, e mai abbandonata dal suo amore”. Il primo amore. E la libertà di Dio nei nostri confronti.
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