Se l’Europa Verde rinasce 4.0

L'Ue ha autorizzato la messa a coltura delle aree riservate al greening. Ciò non vuol dire, però, che si sia fatta marcia indietro sulla Transizione ecologica

L’Europa Verde – diversamente da quanti molti possono credere – nel 2022 non è un sogno politico ma una realtà socioeconomica viva da sessant’anni. La Politica agricola comunitaria è stata il primo “compact” costruito dall’originaria Ue-6, siglata dal Trattato di Roma del 1957: a sua volta edificata sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, esordio assoluto datato 1951.

Materie prime, derrate alimentari: un’emergenza che sembrava per sempre alle spalle e invece è ritornata all’improvviso, non diversamente da quanto ha fatto un’epidemia molto severa. Ma a differenza dell’immediato secondo dopoguerra – un altro passato che sembrava definitivo – l’Europa che allora non c’era oggi c’è. E non sembra nemmeno vacillare di fronte alla crisi ucraina se è riuscita a prendere una decisione in tempo reale proprio partendo dall’agricoltura.

Il Consiglio dei ministri agricoli ha infatti autorizzato la coltivazione delle aree cosiddette Efa: finora riservate al “greening”. Si tratta di una porzione di territorio – pari al 5% del totale coltivabile – che la Pac orientava al riposo o a pratiche di evoluzione sostenibile. In deroga – almeno per il 2022 – tali aree potranno essere messe a disposizione della produzione agroalimentare: con un primo sostegno finanziario straordinario di 500 milioni da parte di Bruxelles. In Italia l’aggregato delle aree è stimato in circa 200mila ettari (un quinto fra Lombardia e Veneto) con 50 milioni in arrivo dall’Europa.

Mentre i missili ancora volano in Ucraina, non è imprevedibile che qualche razzo polemico illumini il cielo “verde” in Italia: a segnalare la reazione negativa dell’ecologismo politico “ortodosso”. Il quale – comprensibilmente – vede nella decisione Ue cui ha partecipato il Governo italiano l’avvio (presunto) di una retromarcia strategica dal NextGenerationEu. Nei fatti non è così: l’agricoltura europea non ha deciso di tornare a due, dieci o sessant’anni fa. È stata solo richiamata in prima linea: con le tecnologie odierne, con una capacità/responsabilità molto superiore al passato di giocare con le proprie regole. Di far valere la propria civiltà: anche nel millenario settore primario dell’economia.

La Grande Transizione sollecitata dal Covid – reazione ecologica ma anche digitale, secondo le prospettive del Pnrr/Recovery Plan – non è affatto negata dalla messa a coltura di aree supplementari del Vecchio Continente. L’obiettivo non è – come in un’iconica immagine d’epoca – trasformare piazza Duomo a Milano in un campo di grano “per la patria in armi”. Il fine è invece utilizzare al meglio tutte le risorse dei 26 Paesi Ue:  anzitutto di “knowledge economy”, stimolando una neo-imprenditorialità agricola già viva (soprattutto giovanile) e mobilitando tutte le risorse finanziarie pubbliche e private. In attesa che nell'”Europa Verde 4.0″ possa entrare anche un granaio planetario come l’Ucraina. E senza dimenticare che fra i padri della moderna Pac è annoverato un uomo di governo italiano: Giovanni Marcora, partigiano cattolico contro il nazifascismo prima che interprete rigoroso dell’europeismo degasperiano.

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