A marzo l’inflazione in Italia è crescita del 6,7% su base annua, confermando così un trend crescente (+5,7% a febbraio, +4,8% a gennaio) che, come ci spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica, «non sembra aver raggiunto ancora il suo apice.
Nonostante non abbiamo fatto registrare gli incrementi che ci sono stati in Spagna (+9,8%) o in Germana (+7,3%), non possiamo certo pensare di essere al riparo da rischi».
Di quale tipo, principalmente?
Considerando che la Fed alzerà più volte i tassi di interesse quest’anno e che la Bce, dopo che è terminato il Pepp, si appresta a mettere fine agli acquisti netti di titoli di stato, e quindi a non disancorarsi dalle scelte della banca centrale nordamericana, diventa difficile ricercare un profilo di tassi di interesse che sia compatibile con una prospettiva di stabilità e non di rallentamento economico.
Dunque è da mettere in conto un rallentamento dell’economia. C’è qualche altro effetto negativo in arrivo?
Il problema principale è che non tutto rallenterà allo stesso modo. Quello che secondo me è all’orizzonte a breve termine è una crescita delle disuguaglianze: inevitabilmente questi aumenti dei prezzi impatteranno sul potere d’acquisto, ma non in modo uguale per tutti. Vuoi perché sono diverse le distribuzioni del reddito, vuoi perché chi è più forte finisce per pagare meno.
Tutto questo richiederà degli interventi da parte dei Governi?
Sì, ma i provvedimenti a tutela di alcune aree di lavoro, a sostegno di determinate imprese, dovranno essere estremamente calibrati. In Italia gli effetti diretti e indiretti della fiammata inflazionistica amplificheranno situazioni di squilibrio e bisognerà pertanto intervenire ponendo particolare attenzione alle disuguaglianze.
Da tempo nel nostro Paese si parla della possibilità di uno scostamento di bilancio. Secondo lei, sarà necessario?
Dipende essenzialmente da quale tipo di provvedimenti si vogliono mettere in campo. Ricordo come dalla crisi del 2008 la Germania uscì rafforzata grazie a una rete efficace di sostegni alla disoccupazione. Oltre a questo oggi Berlino sembra voler fare affidamento anche sul forte aumento delle spese militari, che si traduce anche in maggiore occupazione, sebbene magari non sia quella più desiderabile. Per l’Italia potrebbero risultare molto utili investimenti sulle energie alternative, in modo da renderci, come oggi appare fondamentale fare, sempre meno dipendenti dall’estero.
Nei giorni scorsi Christine Lagarde ha evidenziato che ancora non ci sono segnali di stagflazione in Europa. Tuttavia, abbiamo un’inflazione che sale e il Pil che si contrae: non proprio una situazione ideale…
Esatto ed è questo il vero punto critico per l’Italia: siamo in ritardo, perché il nostro prodotto potenziale può essere molto più elevato.
Forse ci siamo illusi dopo il 6,5% di crescita del 2021.
Probabilmente sì, perché se guardiamo il Pil pro capite siamo ancora a 30 anni fa, con tutte le disuguaglianze che ci sono in questo dato, anche intergenerazionali. Non prendiamo lucciole per lanterne: probabilmente arriveremo quest’anno ai livelli pre-Covid, ma prima della pandemia stavamo appena iniziando a riprendere fiato dopo una doppia recessione in un lustro. E siamo ancora lontani dal Pil del 2008.
(Lorenzo Torrisi)
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