C’erano le corone, fiori bianchi, bellissimi. C’erano le autorità cittadine e soprattutto lui, Sergio Mattarella, a dare l’ultimo saluto a Maria Romana De Gasperi. E se il presidente della Repubblica assiste commosso a una messa di un oltre un’ora in una parrocchia di Roma nord, vuol dire che la persona per cui si è mosso non solo era cara a lui, ma all’Italia intera. C’era poca gente a santa Chiara, ieri. Tanti anziani, religiosi pochi, ed è strano, per una donna di fede limpida e libera, per la figlia di un sant’uomo. Politici, pochi. E spiccava il capo grigio di Casini, che resta in fondo l’ultimo erede e testimone di un tempo lontano in cui un partito, la Dc, sapeva tener unito il Paese dopo il disastro della dittatura e della guerra.
Sapeva tenerlo libero, e interlocutore stimato nel consesso di grandi che avrebbero potuto snobbarlo, e con qualche ragione. La Dc di cui Alcide De Gasperi era tra i fondatori, che aveva guidato, guidando l’Italia. Dov’erano mai i piccolissimi che a turno citano e si appellano a De Gasperi, Sturzo eccetera? Quasi tutti Pd, oggi. Qualche residuo in Forza Italia. In sparuti gruppuscoli che non hanno rilevanza parlamentare.
Dov’erano? E perché non sono stati accanto a questa donna intelligente, volitiva, brillante, così libera da rinunciare a un seggio, per non essere mai considerata solo “figlia di”, di un padre che amava tanto da sacrificargli la vita? No, era la vita che voleva, amava, il compito che si era scelta come servizio al Paese. Che tristezza ascoltare un cardinale canuto ripercorrerne il curriculum come meglio avrebbe fatto uno studentello di liceo. Senza mai alzare lo sguardo a Dio, a quella Divina Provvidenza cui Maria Romana era stata educata, e aveva deciso, di affidarsi.
Che peccato, nel senso duplice di colpa e perdita, non aver mostrato con un trionfo di fedeli da assiepare il sagrato il valore della memoria. Che peccato sentir ricordare Maria Romana De Gasperi come una dattilografa nella segreteria paterna. Per settant’anni lei si è mossa da sola, mai succube a intrallazzi e camarille di correnti. Per settant’anni ha girato l’Italia per comunicare con calore un ideale, di politica, di impegno cristiano, per raccontare lo slancio di quei giovani che avevano sofferto e lottato per l’Italia e l’Europa, e che oggi manca tanto.
Che consolazione, vedere dei ragazzi assorti nei banchi laterali. Non parenti, ma quasi nipoti, che attraverso la Fondazione che lei ha presieduto si sono formati con lo stesso slancio. Che nessuno sa raccogliere. Lei sapeva contagiare entusiasmo. Ricordo che qualche anno fa si dispiaceva che la tomba del suo papà a san Lorenzo al Verano fosse sporca e bisognosa di restauro. Ci andava lei a pulirla, con straccio e detergenti. Ci ha poi pensato Mattarella. Già, la memoria. Senza, un paese è solo un agglomerato di luoghi senza identità e anima.
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