Recessione tecnica, la parola in sé spaventa, ma è così che il Centro studi della Confindustria definisce la congiuntura economica. Il Governo, allora, dovrà rivedere stime e parametri del prossimo Documento di economia e finanza, rimodulando anche le priorità di politica economica. La guerra cambia se non tutte, molte delle scelte che Mario Draghi aveva messo in cantiere.
Questo 2022 doveva essere l’anno in cui veniva “messo a terra” il Pnrr; l’inflazione e i colli di bottiglia produttivi dell’autunno avevano già introdotto variabili molto negative, l’invasione russa dell’Ucraina ha aperto una voragine: dall’energia alle esportazioni, dai sostegni ai consumi e ai redditi familiari alla transizione digitale, dalla manifattura ai servizi, l’impatto è davvero trasversale e crea uno scenario di inflazione e stagnazione. Il Governo dovrà varare una strategia complessa e ad ampio raggio.
La crescita del Pil per quest’anno viene tagliata dagli economisti del Csc a +1,9% “con un’ampia revisione al ribasso (-2,2 punti)” rispetto alle stime dello scorso ottobre quando tutti erano concordi su un +4%. Ecco perché, considerando il +2,3% di crescita acquisita per “l’ottimo rimbalzo dell’anno scorso”, l’Italia “entrerebbe in una recessione tecnica seppur di dimensioni limitate”. Il ritorno a livelli pre-Covid “slitta dal secondo trimestre di quest’anno al primo del prossimo”. “Questi scenari e questi numeri – avverte il presidente della Confindustria Bonomi – dovrebbero costituire un serissimo allarme generale per le istituzioni e la politica del nostro Paese”. Finora si è detto e ripetuto che gli aumenti di costo e le difficoltà di approvvigionamenti alla produzione erano fenomeni “effimeri e temporanei”. Secondo Bonomi, “vediamo oggi un’analoga tendenza: credere che magari tra qualche settimana il conflitto in Ucraina finisca e tutto torni come nel 2019 pre-Covid. Non è stato vero l’anno scorso, non è vero in questo 2022”. Quindi, “è il momento di adottare misure strutturali e adeguate”. Quali?
La risposta immediata che gli industriali s’aspettano è un tetto al prezzo del gas. Le misure fin qui decise non bastano a Bonomi. In Italia il costo industriale di benzina e gasolio non è il più alto, ma c’è la più elevata quota di accise e Iva aggiunta al distributore, quindi “decidere un taglio limitato a 30 giorni fa solo pensare che il Mef non intenda rinunciare a nulla di un prelievo così inaccettabilmente elevato”.
L’Italia è più vulnerabile della Germania, da noi il gas copre il 41% dei consumi energetici e il metano proviene per il 40% dalla Russia, la Germania compra da Gazprom molto di più, circa il 51%, ma solo il 26% dei consumi è dovuto al gas. Solo Ungheria e Austria sono esposti più o meno come l’Italia al ricatto di Putin. Ecco perché occorrono misure coraggiose per ridurre la dipendenza e non trovarsi già in inverno senza gas. Sul tavolo del Governo è arrivato il documento dei tecnici. Si sottolinea che attraverso i gasdotti esistenti – dal Nord Africa o dal Caucaso – potrebbero arrivare tra 5 e 10 miliardi di metri cubi di metano. Ad Algeri si recherà a breve Mario Draghi per un vertice intergovernativo.
La misura è solo uno dei suggerimenti per soddisfare la domanda fino al marzo dell’anno prossimo, per coprire fino a 20-25 miliardi di metri cubi. Il gas arriva anche via nave, liquefatto, ai tre rigassificatori italiani (La Spezia, Livorno e Rovigo): la quota di importazioni potrebbe salire di altri 5 milioni, visto che gli impianti potrebbero lavorare un 20-25% di materia prima in più proveniente dal Qatar. Altri 5 miliardi sarebbero garantiti aumentando la produzione delle sei centrali a carbone ancora in attività. Gli operatori sono già stati contattati, ma la misura verrà adottata solo in caso d’emergenza. Il documento dei tecnici suggerisce anche provvedimenti di portata minore, ma che tutti insieme garantiscono altri 5 miliardi di metri cubi, riducendo di un grado i riscaldamenti si arriva a 2 miliardi di risparmi, un miliardo dall’interruzione per alcune ore al giorno delle forniture alle industrie energivore, riducendo l’illuminazione pubblica e incrementando la produzione nazionale.
Chi privilegiare, le famiglie o le imprese? La scelta è difficile e non priva di trabocchetti soprattutto in una situazione politica che sta diventando molto più instabile. La presa di distanza di Conte sulle spese militari nasconde un tentativo di sganciare il M5S e riposizionarlo come arbitro della bilancia in vista delle elezioni del prossimo anno. Se il Governo sceglie di difendere la produzione può trovarsi nel tiro incrociato dell’opposizione di destra, della Lega e degli stessi grillini. Se al contrario punta a redistribuire a pioggia, accontentando l’assistenzialismo pentastellato avrà contro la Lega e Forza Italia, alla guida del “popolo delle partite Iva”. Lo stesso dilemma si pone per la politica energetica con Lega e FI a favore di carbone e nucleare, mentre grillini e sinistra sono contro.
Draghi dovrà dare il meglio di sé per tenere la rotta e non sbandare. Il compromesso sulla spesa militare diluita fino al 2028 non appare come un segno di forza e stabilità.
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