MINNEAPOLIS – Vedere centinaia di uomini inginocchiati a Times Square non è cosa di tutti i giorni. Anzi, per dirla come effettivamente è, non si era mai visto. È successo sabato 2 aprile. Il cuore mondano e finto di New York City per una sera ha ospitato un gesto religioso della comunità islamica. Volente o nolente. Un gesto di preghiera, il “Tarawih” che apre il Ramadan, quel mese, il nono del calendario islamico, fatto di digiuno, preghiera, meditazione e vita di comunità in commemorazione della prima rivelazione di Maometto.
Volente o nolente, perché dall’11 settembre 2001 il rapporto tra la pur liberalissima, democratica, omni-accogliente New York City ed il mondo musulmano si è ingarbugliato non poco. Diciamo la verità: non c’è mai stato vero amore tra la grande mela e la popolazione islamica, solo una forma di reciproco, appropriato, doveroso rispetto, fattosi guardingo via via che l’islam cominciava a farsi strada conquistando proseliti tra la comunità di colore.
L’attacco alle Twin Towers ha messo a durissima prova quell’atteggiamento politically correct che caratterizzava il rapporto tra le parti, perché l’essere politically correct funziona nella misura in cui dell’altro e di quello che comunica non me ne importa un granché. Insomma, la political correctness, come la tolleranza, è una forma leggermente evoluta e sofisticata di indifferenza che può reggere solo fino ad un certo punto. Può reggere finché non c’è di mezzo, non c’è in gioco qualcosa a cui tengo veramente. Sono certo che chi si è trovato a passare per Times Square sabato sera si sia chiesto quale sia questo punto, vedendo centinaia di uomini inginocchiati, rivolti alla Mecca in preghiera: testimonianza o provocazione?
Anche nella comunità islamica non sono mancati i dubbiosi, coloro che non se la sono sentita di appoggiare questa iniziativa. Ha senso vivere un gesto di preghiera nel mezzo della Disneyland del consumismo tra mille luminarie, circondati da billboards con le immagini seducenti di splendide modelle semi-nude? Non sarebbe più appropriato raccogliersi nel sacro silenzio di una moschea?
Mentre leggevo e guardavo le foto di quel che è successo sabato sera a Times Square mi è inevitabilmente venuto da pensare a come da ormai tanti anni viviamo la Via della Croce a New York. Partiamo dal sacro silenzio di una cattedrale per andare diritti al cuore di questo mondo. In migliaia. Testimonianza o provocazione?
Non ho mai avuto un ombra di dubbio, la Way of the Cross over the Brooklyn Bridge è un gesto di fede, un atto d’amore offerto a tutti. Se provocazione è, è un un colpo ed una carezza al cuore, perché si risvegli.
Spero e prego che quella preghiera del Tarawih nasca dallo stesso desiderio.
God Bless America!
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