Nel condannare l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo non si possono fare distinguo o ammettere giustificazioni. Necessariamente più articolata, invece, l’analisi delle vicende che hanno preceduto la guerra e soprattutto dell’incapacità dell’Europa di immaginare un proprio compito nell’ambito della storia contemporanea dei popoli, della cultura e dell’economia.
Ma anche senza entrare nello specifico dei singoli aspetti, il solo auspicio di un nuovo protagonismo dell’Europa ci costringe a riconsiderare la storia stessa della nostra civiltà e quale sia la sua unicità. Se infatti il rapporto della fede con la ricerca della ragione, come ha detto Benedetto XVI riferendosi all’incontro del cristianesimo con la cultura greca, ne ha fondato i valori che oggi condividiamo, questa relazione è anche e soprattutto all’origine di un modo unico e distintivo di guardare la realtà e la storia; uno sguardo che costituisce il suo contributo più autentico, tanto che quegli stessi valori che ne sono il frutto, se esso non si rinnova e non “riaccade” di continuo, un po’ alla volta si spengono.
Proprio il termine “riaccadere” ne esprime con precisione l’aspetto insieme fragile e contingente, addirittura rischioso, e come esso consista nel “farsi” stesso della persona, nell’emergere della sua autocoscienza, di quella individualità primariamente leale con le domande che colpiscono la sua ragione e le attese che ne definiscono la natura. Con una immagine, potremmo dire che la cultura europea vive se continuano a sorgere in mezzo ad essa nuovi eroi e nuovi santi.
L’eroe e il santo, così come la storia europea nel suo sviluppo ce li ha consegnati, sono infatti il simbolo compiuto di questa “personalità”: uomini magari fragili e incoerenti, ma che più di ogni altra cosa vogliono essere all’altezza di questa ricerca, pronti a lasciare tutto per trovare qualcosa o qualcuno che ne soddisfi la sete smisurata. Forti solo del sentimento di questa grandezza infinita e insieme mancante, che non dipende da alcun “riconoscimento”, tantomeno dal potere, ma solamente dal merito eterno del proprio essere uomini, essi sono i veri protagonisti della storia.
Ecco perché oggi, se la diplomazia fatica sul filo della composizione degli interessi (e certo dobbiamo augurarci che non si arrenda e prosegua con il massimo della volontà e dell’intelligenza), possiamo sperare in un gesto unilaterale, un gesto sorprendente che sparigli gli schieramenti, gratuito, che non cerchi compensi concordati e prestabiliti, che in qualche modo indichi nella natura stessa dell’animo umano il punto di riferimento e di verifica dell’azione di tutti.
Così come lo sono, sorprendenti e gratuiti, i tanti esempi di solidarietà e di accoglienza che stiamo vedendo in queste settimane. Gesti di uomini che non a caso chiamiamo santi oppure eroi, il cui valore non deriva solo dalle vite salvate, ma consiste nell’esempio che offrono a chi guida le nazioni e a tutti noi: esempio che sorprende le nostre paure e le misure dei nostri piccoli o grandi progetti e, insieme, invito a scoprire, al di là delle nostre bassezze, quelle risorse di umanità e quella “grandezza” che non pensavamo più di avere; come anche i malati, gli umiliati, i poveri e tutti quelli che sono costretti a fare i conti con la vita, ci insegnano ogni giorno.
Perché in fondo l’unica alternativa – in pace come in guerra – è quella di essere solo spettatori del proprio tempo e della storia.
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