Come era prevedibile, Viktor Orbán ha vinto per la quarta volta consecutiva le elezioni parlamentari in Ungheria. Il suo partito, Fidesz, insieme all’alleato Partito Popolare Cristiano Democratico, ha ottenuto il 53% dei voti contro il 35% della coalizione avversaria, costituita da sei partiti di opposizione. La vittoria di Orbán è stata particolarmente netta nelle votazioni a sistema maggioritario per i seggi uninominali e dovrebbe avere due terzi dei seggi nel nuovo Parlamento.
Il successo di Orbán, applaudito in Europa dai partiti di centrodestra e destra, in Italia da Lega e Fratelli d’Italia, è stato invece accolto decisamente male dalle sinistre e dall’Ue. Le accuse sono quelle abituali di “sovranismo” e autoritarismo, con l’aggiunta di collusione con la Russia di Putin. Da parte sua, Orbán ha gettato benzina sul fuoco con le sue dichiarazioni dopo la vittoria, attaccando il globalismo, il miliardario Soros, i media mainstream europei e, punto dolente, Zelensky.
L’Ungheria ha condannato l’invasione russa e ha accolto diverse centinaia di migliaia di profughi ucraini, ma si è rifiutata di dare armi all’Ucraina, anzi ha negato il transito alle armi inviate da altri Paesi. Queste decisioni hanno provocato aspre critiche da parte di Zelensky, che ha definito il premier ungherese l’unico alleato di Putin in Europa, accusandolo di rompere l’unità dell’Ue e della Nato.
Ora, si può essere o meno d’accordo con le decisioni prese da Orbán, ma riesce difficile accettare le posizioni prese da Ue e Nato. Quest’ultima ha ripetutamente dichiarato di non aver nessuna intenzione di intervenire in Ucraina, né di volerla nell’Organizzazione. Con queste dichiarazioni, la guerra scatenata dalla Russia viene quindi definita estranea all’Organizzazione, così come anche Orbán ha dichiarato che questa guerra non riguarda l’Ungheria. La Nato ha di fatto lasciato ad ogni Stato membro la decisione di come comportarsi e, sotto questo aspetto, Zelensky ha oggettivamente ragione a considerare il comportamento del governo ungherese distante da quello degli altri governi europei. Tuttavia, ciò non toglie che le decisioni riguardanti l’Ungheria debbano essere prese a Budapest e non a Kiev.
Le relazioni con Bruxelles sono da molto tempo tese e questi ultimi avvenimenti non contribuiranno certo a migliorarle. Per l’apparato dell’Unione, vi è il rischio che Orbán stia trasformando l’Ungheria in una “democratura” simile a quella russa. Il modo di governare del premier ungherese è senza dubbio piuttosto accentratore, e chi scrive ebbe modo in passato di criticarlo, ma rimane il fatto che, evidentemente, questo non è il giudizio di chi lo ha votato per la quarta volta di seguito. La sua vittoria è stata senza dubbio facilitata dal fatto che la coalizione avversaria non era in grado di fornire agli elettori un’immagine compatta: al suo interno si andava da un partito socialista a uno di estrema destra, uniti solo dall’obiettivo di sconfiggere Orbán.
Un aspetto che viene sottolineato da diversi commentatori è che la guerra in Ucraina ha creato una grave frattura nel gruppo di Visegrad, cioè Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia. La differenza con l’atteggiamento ungherese è soprattutto rilevante per la Polonia, particolarmente coinvolta nella questione non solo per quanto riguarda la massiccia accoglienza di profughi, ma per la sua dichiarata avversità verso la Russia. Una avversità che ha fatto passare in secondo piano i rapporti storici, non proprio amicali, con gli ucraini.
Eppure anche Varsavia, fino all’invasione russa dell’Ucraina, era nel mirino di Bruxelles come lo è ancora Budapest. La Polonia è diventata ora un esempio per tutta l’Europa, ma l’Ue, a quanto risulta, si è finora guardata bene dal togliere le multe a suo tempo comminatele perché il suo governo non rispettava le “regole” della democrazia, quella stabilita da Bruxelles.
Rimane un ultimo punto che ha sollevato perplessità in molti commentatori: come è possibile che gli ungheresi abbiano dimenticato la tragica invasione sovietica del ’56 e possano votare un “amico” della Russia come Orbán?
Una domanda che può avere molte risposte. Sono passati quasi settant’anni e il ricordo di quella tragedia si è andato affievolendo, soprattutto nelle nuove generazioni; tuttavia, sembra una risposta un po’ superficiale, perché certi avvenimenti rimangono indelebili nella coscienza di un popolo. Forse gli ungheresi non identificano l’attuale Russia con l’Unione Sovietica e, magari, non la considerano più lontana da loro di quanto non considerino l’attuale Unione Europea. E questo sarebbe realmente un grave problema.
Infine, forse invece il ricordo dell’invasione russa del ’56 è ancora dolorosamente presente, ma lo è anche il ricordo di come l’Ungheria fu abbandonata a se stessa in quell’occasione dall’Europa occidentale e dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non intervennero in base agli accordi di Yalta con l’Urss, ma la statunitense Radio Europa Libera non si peritò di incitare alla rivolta contro i sovietici, ventilando un possibile appoggio. Forse gli ungheresi trovano qualche similitudine con l’attuale atteggiamento della Nato verso l’Ucraina e, quindi, sono d’accordo con Orbán: questa guerra non è la nostra.
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