“L’Ucraina può vincere la guerra contro la Russia”, ha detto ieri il portavoce del Dipartimento della Difesa americana, John Kirby, non parlando certamente di sua iniziativa. Un’idea pericolosissima, secondo il generale Giuseppe Morabito, diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation. “Gli ucraini non possono respingere i russi contrattaccando, nemmeno se li armiamo, e possiamo armarli solo con armi difensive”. L’obiettivo? “Resistere, consolidare le posizioni e possibilmente evitare di perderne di nuove”. E trattare.
Con Morabito siamo partiti dai crimini di guerra imputati alle forze russe nelle località di Bucha, Borodyanka, Irpin, che stanno segnando uno spartiacque del conflitto.
Come interferisce la scoperta dei crimini di guerra nella strategia del Cremlino?
Non cambierà molto. Addolora dirlo, ma in ogni guerra sono avvenute queste atrocità. Per evitarle, bisognerebbe non fare le guerre. Detto questo, adesso sarà più difficile arrivare a un cessate il fuoco, per non parlare di un accordo diplomatico.
E da parte ucraina?
Kiev cercherà di sensibilizzare ulteriormente l’opinione pubblica mondiale a favore della propria causa. Vale la stessa considerazione: la via per un accordo appare ancora più tortuosa.
Torniamo alle uccisioni. I comandi russi possono non sapere?
Sì, è possibile che sia così. In guerra, per un militare fare azioni contro i civili non è ammissibile o non dovrebbe esserlo. Escluderei che nella catena di comando qualcuno abbia riferito fino al vertice queste azioni e soprattutto lo abbia considerato un merito. Non solo; un comandante che ne fosse a conoscenza, probabilmente non informerebbe i propri superiori. È un crimine non accettabile da nessuno. Dovrebbe, inoltre, essere punito con la fucilazione di chi l’ha commesso.
Perché tende a escludere che gli alti comandi siano a conoscenza dei massacri?
Perché, sulla base del presupposto che azioni così efferate sono come minimo controproducenti, e ne abbiamo evidente dimostrazione sul piano politico e dell’opinione pubblica, vorrebbe dire che questo comandante ammette di non avere il controllo dell’operato dei propri uomini in combattimento. Un esercito che si macchia di tale terribile infamia non può assolvere chi comanda.
Dunque, lei scarterebbe che i crimini possano essere stati deliberatamente decisi dall’alto?
Direi di sì. Mi auguro sia così. Ciò che invece può succedere, è che qualche elemento sfugga al controllo dell’unità durante l’operazione. Non sarebbe la prima volta. La storia ci dice che episodi simili sono avvenuti per mano nazista in Italia e, purtroppo, anche da parte delle forze alleate. Ha presente, per capirci, le “marocchinate” del film La ciociara?
Scusi se insisto. Come si può perdere il controllo degli uomini fino a questo punto?
Non si possono giustificare tali eventi. Ma se osiamo una motivazione psicologica, si potrebbe azzardare questa ipotesi. Soldati russi stanno insieme al freddo e in territorio ostile per settimane, in guerra. Si combatte, un giorno dopo l’altro. Il carro viene colpito, i tuoi colleghi, con i quali hai vissuto le settimane di guerra fianco a fianco, muoiono, e tu perdi la testa. Tutto questo per dire che non mi sorprenderei di venire a sapere che dei militari russi si sono abbandonati ad azioni brutali anche di nascosto dai superiori. Lo condanno, è una nefandezza assoluta. È lo “schifo” della guerra.
Perché i russi si stanno ritirando dalle grandi città?
Perché entrare combattendo sarebbe molto usurante in termini di vite umane. Tradotto: tante perdite. E poi non basta entrare nelle città, poi bisogna anche controllarle ed è molto impegnativo dal punto di vista operativo e logistico. Per questo le forze russe bombardano le città e non vi entrano, se non dove è strettamente necessario rispetto ai loro obiettivi, come a Mariupol.
Qual è adesso il piano di Mosca?
Assicurarsi il controllo delle due repubbliche autonome di Donetsk e di Luhansk, del Mar di Azov e della Crimea. I russi hanno già i piedi su questi territori, ora puntano a consolidare le posizioni.
Putin vuole togliere all’Ucraina lo sbocco sul Mar Nero?
Ritengo ormai di no. Vorrebbe dire conquistare Odessa, ma attaccare una città ostile di quasi un milione di abitanti sarebbe, come detto, un bagno di sangue anche per i russi. Odessa, come Kiev, è un obiettivo impossibile, e resterà ucraina.
Allora come spiega le bombe che hanno colpito la città?
Gli ucraini sono riusciti ad entrare nel territorio controllato dai russi e i russi hanno voluto rispondere, per far capire che possono colpire ovunque, compresa Odessa. Il problema semmai è un altro, ma sui giornali non se ne parla o se ne parla poco.
Quale sarebbe?
Gli ucraini hanno minato il porto di Odessa per impedire uno sbarco. In questo modo, però, è impedito il transito ai mercantili di cereali, che non possono né entrare né uscire. Senza il grano ucraino, come si sfamano, ad esempio, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto e non solo? Vuol dire una crisi alimentare mai vista, una bomba sociale di proporzioni inimmaginabili. Quel porto dev’essere reso nuovamente agibile da chi l’ha minato o dalle forze alleate. Poi la guerra impedisce i raccolti e le semine. La crisi non riguarda solo le fonti energetiche ma anche le risorse alimentari.
Per sminare le acque di Odessa serve prima un cessate il fuoco.
È fuori discussione.
Qual è la situazione delle forze ucraine?
Non solo i russi, anche gli ucraini hanno subito perdite. Possiamo rifornirli di armi, ma non degli uomini che hanno perduto. Gli ucraini hanno bisogno di rifornirsi di armamenti e di tenere le posizioni, altrimenti saranno lentamente logorati dai russi. Mentre noi parliamo d’altro, l’artiglieria russa non si ferma. Gli ucraini finora si sono difesi, ma non possono fare più di questo. Non possono respingere i russi contrattaccando.
C’è qualcuno che alimenta il progetto di un contrattacco ucraino?
Sarebbe una follia. Per contrattaccare chi tiene solidamente le posizioni conquistate e avere speranza di riuscire serve un rapporto numerico di 3:1. Ciò significa che gli ucraini non hanno le forze per riconquistare il territorio controllato dai russi, se i russi non se ne vanno di loro iniziativa.
Per questo negli ambienti Nato si dice che la guerra sarà lunga?
Gli ucraini potrebbero andare a riprendersi i territori lasciati dai russi, consolidare la situazione e trattare. Ma una cosa completamente diversa sarebbe continuare la guerra con il proposito di ottenere, da parte ucraina, un livello di preparazione ed equipaggiamento tale da poter riprendersi le terre perdute sconfiggendo le forze avversarie che le occupano. Rispetto al primo scenario è una cosa completamente differente. E tra le due c’è un abisso.
Non c’è qualcosa in mezzo, una terza ipotesi?
Potrebbe esserci il congelamento del conflitto, con un accordo tra le parti e forze militari di interposizione. Servono Paesi garanti. È prematuro parlare di come farlo, anche se si è già ipotizzato.
Alla luce di queste considerazioni, che scopo dovrebbe avere la fornitura di armi difensive a Kiev?
Quello di resistere, consolidare le posizioni e possibilmente evitare di perderne di nuove. Ogni giorno Zelensky cerca di convincere la Nato a imporre la No fly zone, ma sarebbe un atto di guerra alla Russia. Né si può immaginare di fornire armi offensive. Quando i russi avranno completato il controllo del Donbass, quanti carri armati dovremmo dare in teoria agli ucraini? E quanti aerei? Nella guerra moderna è folle attaccare se non si ha la superiorità aerea. Gli ucraini possono solo difendersi.
Dunque si tratta di metterli in condizione di resistere. Ma con quali prospettive?
Arrivare a un equilibrio sul terreno che induca le parti al buon senso e a trattare.
Il viceministro degli Esteri russo Alexander Grushko ha avvertito la Nato e l’Ue a non “giocare con il fuoco”, riferendosi all’exclave russa di Kaliningrad e al corridoio di Suwalki. Che ne pensa?
Bisognerebbe che tutti gli intransigenti riflettessero bene su quello che propongono. Chiudere Kaliningrad, il cui territorio è eccezionalmente armato, sarebbe una decisione grave e un messaggio pericoloso, perché darebbe argomenti inequivocabili alla sindrome dell’accerchiamento, di per sé già pericolosa.
(Federico Ferraù)
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