Negli ultimi giorni hanno trovato spazio tra le drammatiche notizie sulla guerra alcuni articoli sui concorsi a cattedre per la scuola secondaria, che si stanno svolgendo in queste settimane, con oltre 430mila iscritti per 33mila posti. Si ripropone in questi interventi un dibattito tutt’altro che nuovo su un problema che nel nostro paese sembra irrisolvibile e che comunque è a tutt’oggi irrisolto: quello di avere una stabile e rigorosa modalità di selezione degli insegnanti. Di quella attuale, essenzialmente basata su una prova a quiz, è difficile trovare dei convinti sostenitori, ma ci sono comunque valutazioni diverse.
Sul Sussidiario Pierluigi Castagneto ne riassume le caratteristiche, con un giudizio decisamente critico: “La formula di 50 quesiti in 100 minuti […] è una vera e propria gara contro il tempo. Perché 50 quiz a risposta multipla (quattro) di cui 40 sulla disciplina, 5 in inglese (livello B2) e 5 in informatica, a cui vengono attribuiti 2 punti per le risposte giuste e 0 per quelle errate e quelle non date, non sembra un metodo adatto a valutare i docenti”.
Diverso il punto di vista di Antonio Gurrado che su Il Foglio scrive: “È l’eterno ritorno dell’uguale. A ogni tornata di concorso pubblico per la selezione degli insegnanti di ruolo, puntuale cade la pioggia di articoli sulle recriminazioni dei respinti […] Gli insegnanti intervistati da Repubblica parlano di quiz in stile Amadeus, di inaccettabile nozionismo, di selezione più ingiusta che per sorteggio”. Il problema per Gurrado è dunque l’allergia italiana alla selezione, in qualunque forma venga attuata. Il che in linea generale è innegabile, basta pensare alla scarsissima popolarità del termine “meritocrazia” nel nostro paese. Se non che lo stesso Gurrado deve convenire che “certo, un concorso con domande a risposta multipla è uno strumento troppo superficiale per valutare le capacità di un insegnante, è un’ordalia a capocchia che rischia di bocciare in prima istanza candidati ideali …”.
Il punto è che quelli che hanno fallito il test, cioè non hanno raggiunto i 70 punti necessari per accedere all’orale, sono più del 90% dei candidati. Che la scuola “indulgente” e pseudo-inclusiva degli ultimi decenni abbia finito per sfornare anche un gran numero di candidati insegnanti privi dei requisiti minimi per questo delicatissimo mestiere è un fatto, e una forte selezione è inevitabile (e anche auspicabile). Tuttavia di fronte a una simile percentuale di bocciati è lecito chiedersi se lo strumento dei quiz, almeno così come sono stati concepiti e proposti in questa occasione, sia o meno in grado di fornire un risultato credibile e equo. E questo al di là degli esempi di quesiti bizzarri o ipernozionistici o comunque inappropriati di cui si viene a conoscenza. A meno che lo scopo fosse, come si può sospettare, proprio quello di ammettere agli esami orali un numero ritenuto gestibile di candidati. In ogni modo così si rischia “di perdere i bravi o di far entrare gli scarti”, come dice Mauro Piras, del Gruppo Condorcet. Non che i quiz a risposta multipla siano di per sé da escludere, se ben calibrati in rapporto all’obbiettivo della verifica. Ad esempio potrebbero essere utili per una pre-selezione in base al possesso di requisiti minimi per accedere al concorso vero e proprio.
Ma, come detto all’inizio, il problema è avere finalmente un convincente percorso di selezione e di formazione degli insegnanti, che sia insieme efficiente e rigoroso, si tratti di concorsi o di altre modalità di accesso al lavoro di insegnante (nel sistema finlandese, ad esempio, c’è una forte selezione all’ingresso del percorso formativo universitario). Efficiente significa anche essere uno strumento ordinario, con cadenza annuale o al più biennale, in modo da evitare che si accumulino negli anni queste ingestibili adunate e nello stesso tempo consentire una selezione credibile di insegnanti preparati e motivati.
Resta da capire se sindacati e potere politico siano realmente interessati a creare le condizioni per mettersi alle spalle le sanatorie.
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