Il 13 aprile 1945 un giovane seminarista di soli 14 anni, Rolando Rivi, viene ucciso da una banda di partigiani comunisti tra le colline dell’Appennino reggiano, colpevole solo di indossare sempre la veste talare.
Apparentemente si tratta di un “frammento” della storia italiana, inincidente rispetto alla grande storia della Resistenza, al massimo rilevante come conferma che nell’ambito della Resistenza, accanto alle luminose luci dell’impegno comune per la liberazione dell’Italia dall’oppressione nazifascista ci furono ombre, come la violenza fratricida che spesso, a causa del prevalere dell’ideologia sull’istanza umanistica di liberazione, si scatenò anche all’interno del movimento partigiano e di cui ha fatto le spese anche quel ragazzo, ucciso “in odio alla fede”, come riconosceranno i tribunali italiani nel dopoguerra.
Ce ne sarebbe più che a sufficienza per scatenare la volontà di rivendicare i meriti di una parte della Resistenza contro un’altra e per continuare a coltivare memorie divisive su quel periodo decisivo per la rinascita del nostro Paese dopo decenni di dittatura.
Al contrario, proprio in concomitanza con l’anniversario del martirio dell’ormai riconosciuto beato Rolando Rivi, appare un libro che vuole aiutarci a comprendere come, anche attraverso le ferite del passato, possa maturare un clima di ricerca del bene comune e come nel tempo si affermi la vittoria disarmata della fede.
Parliamo del volume di Matteo Fanelli, giovane insegnante di Roma, significativamente intitolato proprio 13 aprile 1945. La lotta partigiana e il martirio di Rolando Rivi (Itaca, 2022) già presente nelle librerie.
Questo libro è prezioso perché, con onestà intellettuale e sensibilità per l’emergere del bene nella storia, svolge un’attenta ricerca del nesso tra la storia e la memoria di Rolando e la storia e la memoria, complessa e fonte di grandi polemiche e rivendicazioni identitarie per tanti decenni, della Resistenza.
Il libro infatti, con un taglio divulgativo e in ordine rigorosamente cronologico, ripercorre l’intreccio tra la storia della Resistenza e della storiografia italiana della Resistenza (in particolare il conflitto tra le diverse memorie della Resistenza e il lungo cammino verso la loro ricomposizione) e lo svolgimento della memoria del martirio di Rolando (dal processo sul suo omicidio fino al diffondersi della sua fama di santità e alla proclamazione della beatificazione).
Di fatto è un libro che appassiona progressivamente, perché racconta, in modo scorrevole e chiaro, la storia di una passione, la passione di Rolando Rivi per la vita e la verità e mostra come la sua esperienza illumini la prospettiva più autentica della Resistenza.
Quando l’8 settembre 1943 il Regno d’Italia rese esplicito il suo definitivo ripudio del fascismo e uscì dall’alleanza con la Germania hitleriana per avviarsi a ricostruire la sua identità, lasciò di fatto ogni italiano a dover decidere, solo di fronte alla propria coscienza, il senso e il valore delle proprie scelte etico-politiche e di orientamento ideale. Le istituzioni politiche e militari del Paese mostrarono infatti in quel momento tutta la loro debolezza, lasciando il popolo italiano a decidere il proprio futuro in base alla propria coscienza e alla propria tradizione umanistico-religiosa.
E proprio questo ha fatto Rolando riaffermando esplicitamente, nel momento in cui l’occupante nazista faceva chiudere il seminario di Marola in cui aveva cominciato nel 1942 il suo cammino vocazionale, la sua scelta per l’ideale di una vita consacrata a Cristo come fondamento di una vita buona e bella per tutti (esemplificata dal suo voler sempre indossare la tonaca da seminarista). La sua è stata una scelta di Resistenza, come ci ricorda uno dei più autorevoli partigiani cattolici, don Giovanni Barbareschi, che afferma in Chiamati a libertà: “La Resistenza è stata anzitutto una ribellione morale, la scelta consapevole dell’umano contro il disumano”. (p. 30)
Certo non tutte le scelte per l’umano fatte in quel periodo sono state motivate dall’ideale evangelico, però, come ricorda sempre don Barbareschi: “il primo atto di fede, e ve lo dice un prete, che l’essere umano deve fare non è in Dio! Il primo atto di fede che l’uomo deve fare è nella sua libertà, cioè nella sua capacità di diventare una persona libera di agire da essere libero, altrimenti è un burattino, qualunque cosa dica o faccia. … Si pensa che la perfezione dell’uomo è volere. Non è vero. Perfezione dell’uomo è credere. Io credo in te, nel tuo valore, nella tua persona”. (p. 17)
Credere nella capacità di perseguire liberamente la ricerca della felicità e del senso della vita conduce inesorabilmente alla riscoperta del valore fondativo del rapporto con l’altro, al riconoscimento che l’uomo non è un semplice ingranaggio di uno Stato (quale ne sia la forma), ma nasce, cresce e fiorisce in un contesto di rapporti di natura affettiva, sociale e politica, e quindi alla scoperta che la libertà è anche impegno attivo a promuovere la crescita e la fioritura della libertà altrui: libertà quindi per la quale si può soffrire, lottare e battersi per difenderla quando viene calpestata.
Con grande attenzione alle ragioni dei vari soggetti culturali che scelsero di agire per la libertà, Fanelli mostra già dal primo capitolo la serietà della sua ricostruzione storica del periodo, in quanto da una parte evidenzia le caratteristiche del mondo contadino ed ecclesiale in cui è cresciuto Rolando, dall’altra le ragioni di contrapposizione ideale e di strategia di azione tra i diversi soggetti partigiani della zona, giungendo anche a considerare le ragioni sociali che hanno condotto una buona parte del partigianato reggiano a sposare quell’ideologia antireligiosa che porterà l’assassino di Rolando a pronunciare queste terribili parole al momento della sua esecuzione (quasi fossero una forma di autogiustificazione per l’enormità dell’atto): “Domani un prete di meno”.
Nei capitoli seguenti, l’autore ripercorre, decennio per decennio, le tappe essenziali del dibattito sulla memoria della Resistenza, che ha saputo superare le diverse forme di mitizzazione e/o strumentalizzazione della Resistenza per giungere negli anni 90 ad operare una vera e propria rivoluzione storiografica, foriera di quella riconciliazione della memoria culturale della Resistenza per la quale tanto si è adoperato il presidente Ciampi e che è proseguita attivamente con Napolitano e Mattarella.
In parallelo Fanelli racconta la storia della diffusione della memoria di Rolando; ma è da sottolineare che l’autore non ha voluto fare un testo agiografico né di Rolando, né della Resistenza, ma, appassionato della verità a tutto tondo e affascinato dal mistero del senso del sacrificio di Rolando, un resistente inerme ed innocente, ucciso da altri resistenti, ha voluto esplorare come attraverso le contraddizioni del fenomeno della Resistenza si sia sviluppato un percorso storico particolare, ma di valenza universale.
Egli ha colto che la storia è il frutto dello svolgimento di tante libertà che, nella ricerca del significato della realtà, corrono l’avventura della vita con il desiderio e la baldanza di chi sa di non poter restare passivo di fronte alla prospettiva di cercare il proprio destino e possono perciò fare gesti eroici ed opere mirabili, ma anche cadere e tradire gli stessi ideali di libertà e dignità dell’umano per i quali si sono mossi.
Fanelli ha saputo mostrare così, nei diversi capitoli, come dal martirio di Rolando sia fiorito nel tempo un bene che, in cerchi concentrici sempre più ampi, è arrivato fino alla beatificazione, celebrata nel 2013 a Modena, e che oggi vede la diffusione del suo culto anche oltre l’Italia e l’Europa.
Ma la storia è soprattutto vita, scelta di vita e non solo studio e riflessione e, da questo punto di vista le parti finali del libro (l’intervista agli ultimi parenti in vita di Rolando e la postfazione) ci riservano il frutto più bello di questo percorso nella memoria storica e storiografica, mostrando che anche il “buio della storia” non impedisce la possibilità che i discendenti delle vittime e degli omicidi possano riprendere a camminare insieme.
La vicenda particolare di Rolando infatti illumina la storia del nostro Paese, non con un giudizio di condanna, ma di misericordia. Come nel sorprendente e storico gesto di riconciliazione avvenuto il 15 aprile 2018 nel Santuario del seminarista martire. In quel giorno la figlia del partigiano comunista, che nel furore della guerra alzò la mano armata contro Rolando, si è presentata con una corona di alloro e gigli bianchi in segno di pace e ha ricevuto dai familiari del beato un dono più grande, quello del perdono.
Guardare dentro il passato (il proprio o quello del proprio Paese) con animo libero da pregiudizi e da condizionamenti ideologici non è facile. Perché pensare e agire da uomini liberi è difficile.
La libertà è difficile, ma come ci insegna il beato Rolando è sempre possibile, in chi desidera andare al fondo della propria umanità e soprattutto accetta la luce della misericordia del Signore, che sa trasformare anche il male in strada che conduce a un nuovo inizio della storia.
Davvero è “stupefacente questo metodo di Dio che sceglie un bambino da nulla per affermare la vittoria del Suo amore nella storia”. (dalla Postfazione di Emilio Bonicelli).
L’imprevisto del martirio del giovane Rolando non elimina perciò l’importanza dello studio dei diversi aspetti della Resistenza, ma permette di individuare il fil rouge della storia, l’imprevedibilità del bene, che è il fattore propulsivo della storia.
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