L’inflazione negli Stati Uniti a marzo ha fatto segnare il dato più alto dal 1981 con un incremento rispetto a marzo 2021 dell’8,5%. Nonostante il dato particolarmente alto, e quindi coerente con una politica monetaria più restrittiva, il mercato ha chiuso con una perdita limitata. Il movimento è stato attribuito a due fattori in particolare.
Il primo è che gli investitori temessero un risultato peggiore; l’altro ieri la portavoce della Casa Bianca Psaki aveva avvisato della possibilità che il dato di marzo fosse “estremamente elevato” e poi aveva confezionato il messaggio ripetendo più volte che si sarebbe trattato dell'”incremento dei prezzi di Putin” (“Putin price hike”). Il dato di ieri, seppur più alto di quello di febbraio e ai massimi dal 198,1 è comunque “simile” al mese precedente.
Il secondo fattore è che l’inflazione “core”, che esclude il contributo degli alimentari e dell’energia, è stata leggermente più bassa che a febbraio. Questa discesa è stata interpretata come il segnale che l’inflazione abbia raggiunto il picco in uno scenario in cui inoltre la stragrande maggioranza delle previsioni assume un calo netto dell’inflazione nel 2023.
L’andamento dei mercati finanziari che interpretano i dati con questi schemi solleva alcune questioni. La prima è che l’inflazione degli americani, esattamente come quella degli italiani, non è quella “core” che guarda la Fed e che esclude le componenti più volatili. Gli americani, come gli italiani, non subiscono l’inflazione core, ma quella “completa”; la componente relativa agli alimentari e all’energia colpisce più che proporzionalmente man mano che si scende nelle categorie di reddito. I salari settimanali reali, al netto dell’inflazione, stanno scendendo a ritmi record e il potere d’acquisto delle famiglie si sta erodendo a tassi record. È uno scenario di “stagflazione” che è complicato da gestire sia dal punto di vista politico che monetario. Si può contenere l’inflazione, ma a patto di pregiudicare la crescita economica.
La seconda questione è la nuova “narrazione” dopo la fine di quella sulla transitorietà dell’inflazione. L’inflazione era transitoria, così si spiegava, perché derivava dalle chiusure da Covid e poi dalla “brusca riapertura”. La narrazione è finita ben prima della guerra quando si è capito che gli elementi strutturali non derivano dal Covid. La ristrutturazione delle catene di fornitura globale, quasi dieci anni di mancati investimenti in idrocarburi, la transizione energetica e la liquidità abbondante sono elementi che prescindono dalla pandemia. La nuova narrazione consta di due parti: la prima è che il dato di marzo è il picco o qualcosa di molto simile e la seconda è che dal 2023 l’inflazione scenderà e quindi questi livelli rimarranno “solo” per qualche trimestre. Ovviamente l’inflazione si cumula nel senso che per tornare al punto di partenza non è sufficiente vedere incrementi inferiori e servirebbero numeri negativi.
È lecito nutrire qualche dubbio su questa stima perché il conflitto in Ucraina sta imprimendo un’accelerazione ai movimenti che si erano osservati durante la pandemia. Le catene di fornitura globale si stanno frantumando sotto il peso delle sanzioni e sotto quello delle esigenze di sicurezza alimentare ed energetica degli Stati. Alcuni esempi recentissimi su tutti: la Serbia ha deciso di vietare l’export di mais, Argentina e Indonesia hanno alzato le tasse sull’export di olio vegetale, il Kazakistan, il nono esportatore mondiale di grano, ha limitato le esportazioni e, notizia di ieri, il Marocco ha deciso di aumentare il livello di scorte di grano. I lockdown cinesi, che continuano, iniettano inflazione sui mercati occidentali perché limitano la disponibilità di componenti. Tutto questo senza considerare la crescente stretta sulla Russia.
Questa accelerazione sulla ristrutturazione delle catene di fornitura globale e sull’evoluzione geopolitica è recentissima. Il flusso di informazioni costante sfasa la nostra percezione al punto che la guerra in Ucraina sembra iniziata 14 mesi fa più che due mesi fa. I cambiamenti di queste settimane hanno appena iniziato a riflettersi nell’economia reale.
La nuova narrazione sull’inflazione, già ai massimi e destinata a “scendere” a fine 2022/inizio 2023 verrà sicuramente testata nei prossimi mesi con esiti difficili da prevedere.
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