“Un vero fratello acquisito, il mio migliore amico, l’uomo per cui sarei disposto a prendermi una pallottola”. Rileggendo queste parole di Dave Grohl nei confronti di Taylor Hawkins, è ancora più facile comprendere la decisione dei Foo Fighters, a seguito della morte improvvisa del batterista della band prima di un concerto in Colombia il 25 marzo scorso, di annullare tutte le date del tour mondiale, compresa quella prevista a Milano il 12 giugno come headliner dell’i-Days.
Troppo grande il dolore e la sofferenza per la perdita dell’amico e compagno di mille avventure: “Crediamo che questo tempo vada preso per piangere, per guarire, per stare vicino ai nostri cari e per apprezzare tutta la musica e i ricordi che abbiamo creato insieme” si legge in una nota ufficiale della band pubblicata sui social. “Dal primo giorno eravamo diventati praticamente inseparabili, due teppisti fatti l’uno per l’altro” racconta Dave Grohl nella sua autobiografia “The Storyteller – Storie di Vita e di Musica” (Rizzoli) pubblicata qualche mese fa ed ancora in classifica tra i libri più venduti. In pianta stabile nella band a partire dal 1997, ovvero dal terzo album There is Nothing Left to Lose, tra i due si era creato subito un legame importante: “La nostra intesa era scattata fin dal primo incontro e ci eravamo legati sempre di più, giorno dopo giorno, canzone dopo canzone, nota dopo nota. Non ho alcun timore a dire che il nostro incontro casuale era stato una specie di amore a prima vista, che aveva acceso una fiamma gemella musicale che divampa ancora oggi. Insieme eravamo diventati un duo inarrestabile, sul palco e giù dal palco, pronti a inseguire qualsiasi avventura si presentasse. Siamo destinati a stare insieme, e sono grato di esserci trovati in questa vita”.
L’elaborazione del lutto e la presa di coscienza che i compagni di un tratto di cammino possano misteriosamente venire a mancare, sono una ferita aperta e una domanda ricorrente nella vita di Dave, talvolta colpito nei suoi affetti più cari. Ed è proprio il mondo della musica, oltre a regalargli le soddisfazioni più grandi, a provocargli i dolori più profondi. In una vita sempre al massimo e spesso vissuta pericolosamente, il tema della morte è trattato più volte nelle pagine del libro. Anzitutto nei capitoli dedicati ai Nirvana e a Kurt Cobain: Dave Grohl si unisce alla band dopo Bleach e in 3 anni e mezzo vive in prima persona l’esplosione del fenomeno Nirvana e il conseguente burn out.
Dave per anni è stato semplicemente “quello dei Nirvana”, il batterista anonimo che a differenza di Kurt non aveva la necessità, per non farsi riconoscere, di indossare un cappellino da cacciatore e degli occhialoni da sole bianchi, entrambi diventati oggetti iconici. “Io ero il batterista anonimo del gruppo, andavo in giro e non mi riconoscevano quasi mai, raramente mi fermavano e se capitava era per chiedermi, sei Dave Navarro?”. Il successo mainstream e poi la distruzione: le dipendenze, l’eroina e il tragico epilogo: “Se solo fosse riuscito a vedere la gioia che la sua musica donava al mondo, forse ne avrebbe trovata un po’ anche per sé”. Poi ancora l’incontro, la collaborazione e il ricordo del suo idolo e amico Tom Petty che lo ha invitato a suonare al Saturday Night Live in un momento difficile e che ha avuto per lui un effetto terapeutico importante. E ancora la perdita di Lemmy dei Motörhead conosciuto al bancone (strano!) di uno squallido bar di Los Angeles e diventato negli anni uno degli amici più veri.
Come detto nel libro ci sono tante storie di morte e di distacco doloroso, ma è la vita, la famiglia e l’amicizia che hanno la meglio. E’ soprattutto la musica a vincere, i Foo Fighters sono la prova concreta che si deve e che si può continuare a vivere anche dopo una tragedia: “Decisi di non sprecare il momento”. Le prime registrazioni e il ritorno in Virginia da Seattle sono stati i passi fondamentali per la rinascita artistica e mentale di David: “Finalmente vedevo di nuovo il mondo attraverso il parabrezza, anziché continuare a guardarlo nello specchietto retrovisore”. Cresciuto ascoltando il punk rock “come un disadattato in un mare di conformismo”, come un nerd ha trascorso la sua infanzia in un universo parallelo completamente ossessionato dalla musica: “Ancora oggi percorro la mia esistenza come se fossi un bambino in un museo, circondato dalle meraviglie che ho passato a studiare, così quando finalmente mi ritrovo faccia a faccia con qualcuno che mi è stato d’ispirazione, provo una gratitudine immensa e tanta riconoscenza”. Nella lettura si coglie appieno il grande entusiasmo e l’energia che la musica gli ha trasmesso, sia da protagonista sui palchi di mezzo mondo con gli Scream, i Nirvana, i Foo fighters e i Them Crooked Vultures (con Josh Homme e con John Paul Jones bassista dei Led Zeppelin), che da fan: i Pantera, gli AC/DC, Paul McCartney, Little Richard e Neil Young sono solo alcuni degli idoli che ha avuto modo di conoscere e di frequentare grazie alla sua posizione privilegiata da rockstar.
Dave è consapevole, tanto da ripeterlo più volte, di essere un uomo fortunato e di vivere costantemente un sogno ad occhi aperti: “Non passa giorno che io non ringrazi l’universo per i suoi doni straordinari; mi impegno a non dare nulla per scontato”. La musica gli ha offerto un’opportunità dì salvezza che gli ha spalancato il desiderio e gli ha dato la forza necessaria per inseguire un sogno, proprio quel runnin’ down a dream cantato dall’amico Tom Petty. Un sogno che si è potuto realizzare grazie alla dedizione e a tanto sacrificio che lo sta conducendo lungo un viaggio misterioso e fantastico.