I cantieri aperti? “Rischiano di fermarsi”. I bandi futuri? “Potrebbero andare deserti”. Il Pnrr? “Rischiamo davvero di non realizzarlo”. Per il settore delle costruzioni, che vale il 50% del Piano nazionale di ripresa e resilienza e che muove l’85% dei settori industriali, i rincari dell’energia e delle materie prime (“Tutti i materiali sono gravati da forti aumenti, talvolta anche a tre cifre, dal 2020 a oggi”) “stanno sempre più drammaticamente peggiorando ogni fase della produzione”, come avverte con grande allarme Gabriele Buia, presidente dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili).
Possibili rimedi? “Ci aspettiamo un decreto legge dopo Pasqua – risponde Buia – che contenga misure di salvaguardia delle opere pubbliche in corso e che saranno bandite in futuro, misure di ristoro per il mercato privato allo scopo di non far saltare le imprese, misure di valorizzazione delle imprese qualificate.
I rincari dell’energia e delle materie prime che effetti hanno prodotto sul settore delle costruzioni?
Il nostro settore è l’ultimo anello della catena delle produzioni, noi attiviamo circa l’85% dei settori industriali. Il caro energia, esploso verso la fine del 2021, è arrivato dopo la carenza dei materiali, che a loro volta avevano subìto degli incrementi. Ed è proprio il settore delle costruzioni ad accumulare tutti questi aumenti, che stanno sempre più drammaticamente peggiorando ogni fase della produzione.
I materiali sono tutti aumentati?
Ogni materiale che noi impieghiamo nei nostri cantieri è gravato da rincari. Non c’è un solo materiale che si sia salvato dagli aumenti.
Tutti incrementi a due cifre?
Tutti. Spesso sono aumenti a due cifre dell’80-90%, cioè molto vicini alle tre cifre. E ci sono materiali, come il ferro e gli isolanti, che dal 2020 a oggi hanno superato addirittura il 100%.
Hanno anche generato extra-costi?
Assolutamente sì. E il calcolo è presto fatto: abbiamo stimato per il 2022 Sal (Stati di avanzamento lavori), cioè una produzione, per 33 miliardi di euro. Le due maggiori stazioni appaltanti, Anas e Rfi, hanno aggiornato i prezzari alla luce dell’ultima revisione del 2021, prevedendo aumenti medi del 25%. Quindi dobbiamo aspettarci 7-8 miliardi di extra-costi. Ma sull’elenco materico e sui prezzari redatti dal ministero nutriamo molte riserve.
Quali?
Abbiamo buoni motivi per ritenere, da un lato, che l’elenco dei 56 materiali elaborato dal ministero sia vecchio: dimentica molti materiali frutto delle innovazioni, specie nell’edilizia civile, e copre sì e no il 50% di un’opera, mentre il resto non è coperto per niente. Dall’altro, ci risulta che i dati revisionali siano molto più poveri, diciamo così, rispetto alla realtà e alle necessità.
Insomma, non si riesce a tenere il passo con questi aumenti?
Esatto. Per esempio, i listini delle ferriere cambiano settimanalmente ed è impossibile gestirli.
Come avete cercato di tamponare questa situazione?
Poiché questa catena di rincari impatta in maniera pesantissima sui contratti in essere delle imprese, sia nel mercato pubblico che in quello privato, sul fronte pubblico abbiamo aperto un dialogo con il ministero per cercare di capire come dare ristoro alle imprese che stanno eseguendo le opere. Il primo step, infatti, è salvaguardare le opere che si stanno già realizzando.
Come?
Bisogna mettere in campo una metodologia revisionale che possa tener conto di questi sbalzi, che sono per un imprenditore imprevedibili, non dipendono dal suo rischio d’impresa, vanno ben al di là.
I cantieri aperti sono a rischio blocco?
Se non arriverà rapidamente una misura a sostegno delle imprese, i cantieri dovranno essere necessariamente sospesi, perché le imprese non hanno la forza per continuare. Se prendono un appalto che vale 5 e devono far fronte a costi per 10, le imprese sono destinate a fallire.
Un rischio che corriamo a breve?
No, lo stiamo già correndo sulle opere in corso.
Perché?
Le fasi progettuali e autorizzative in Italia hanno tempi lunghissimi. Per esempio, per una stazione appaltante come Anas si parla di 5 anni. Pertanto le opere che verranno realizzate a partire da quest’anno hanno alle spalle una quantificazione economica dei progetti che risale quanto meno al 2019, se non al 2018, quindi prima dei forti rincari di materie prime ed energia. Risultato: quando l’opera è pronta per essere bandita, il tempo intercorso dalla progettazione non rispecchia i costi attuali e ciò rende praticamente impossibile l’esecuzione dell’opera.
Con quali conseguenze sulla crescita economica?
È un grosso problema per il sistema-paese, che non potrà mettere a terra le opere previste dal Pnrr. Tenga presente che delle 11 opere strategiche del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quelle che hanno una corsia preferenziale, quattro sono già iniziate da tempo: la Napoli-Bari, il Valico dei Giovi, la Catania-Palermo e la Brescia-Padova, che deriva addirittura dalla legge Obiettivo del 2001. Con questi ritardi, oggi scontano tutte prezzi talmente vecchi che non è più possibile eseguirle. Senza dimenticare le opere pubbliche in corso di realizzazione a livello territoriale, le manutenzioni stradali e quant’altro: un’enormità. E tutte opere d’impatto immediato per i cittadini.
Anche i nuovi bandi potrebbero andare deserti?
Le gare, d’ora in avanti, dovranno essere bandite solo ed esclusivamente se i prezzari sono aggiornati. Non possiamo più accettare bandi con prezzi datati e inadeguati alla situazione del mercato. Se sul mercato pubblico possiamo ragionare con lo Stato, perché parliamo di opere di interesse pubblico, la grande preoccupazione c’è sul mercato privato. Basta un dato: gli investimenti in costruzione valgono circa 140 miliardi di euro all’anno e di questi solo 30 arrivano dalle opere pubbliche, i restanti 110 dagli investimenti privati.
Dei 220 miliardi di risorse del Pnrr, 108 passano per il mondo delle costruzioni, che sono uno snodo decisivo. Rischiamo il flop del grande cambiamento e rilancio del paese?
In questo momento noi ci sentiamo partner del governo e molto più coinvolti in questa sfida rispetto ad altri settori industriali, visto che il 50% delle risorse del Pnrr passano proprio dalle costruzioni. Per questo abbiamo lanciato un allarme e stiamo già lavorando con il governo per avere risposte rapide. Oggi non siamo in grado di porre rimedio a questa situazione, abbiamo bisogno di risorse e di condizioni in grado di farci lavorare. Noi rischiamo davvero di non realizzare il Pnrr.
Quanti soldi chiedete?
Non chiediamo soldi allo Stato, perché siamo ben consapevoli che l’attuale stato dell’economia non sia dei più floridi. Siccome però è stata prevista una programmazione degli investimenti Pnrr fino al 2026, chiediamo due cose: innanzitutto, di cominciare a usare le risorse destinate a opere da ultimare nel 2023 o dopo, anticipandole per dare copertura alle necessità attuali e impedire che si blocchino i cantieri già aperti. In secondo luogo, chiediamo di riprogrammare, a livello europeo, i Piani nazionali di ripresa e resilienza, perché questi non sono problemi e urgenze che solo l’Italia sta affrontando.
Si sono fermati anche i lavori “non Pnrr”, come quelli legati al Superbonus 110%? Com’è oggi la situazione?
Oggi non si trovano le attrezzature, né le maestranze, i materiali arrivano con gravi ritardi e i rincari fanno crescere senza soluzione di continuità i listini. Il Superbonus va revisionato, perché sta drogando il mercato, stiamo accumulando inflazione su inflazione. La misura ha causato un forte tiraggio delle richieste, con conseguenti tensioni sul mercato, anche quello legato alle opere Pnrr. Per il Superbonus, alla luce delle frodi emerse e di quanto sta accadendo, l’unica possibilità è obbligare a ricorrere solo a imprese qualificate. È mai possibile che negli ultimi sei mesi del 2021 abbiano aperto più di 11.600 aziende con codice Ateco “costruzioni”, tutte senza dipendenti né organizzazione e qualità del lavoro zero? Sono società che non hanno nulla a che vedere con il nostro settore.
A fronte di tutti questi problemi che cosa propone l’Ance?
Un tavolo negoziale fra tutte le parti coinvolte, altrimenti sarà un massacro.
Lei ha chiesto al governo risposte subito. Il recente Dl Ucraina non offre ancora soluzioni efficaci alle gravissime difficoltà che sta affrontando il settore delle costruzioni. Cosa dovrebbe fare a questo punto il governo? Dove intervenire con urgenza?
Ci aspettiamo un decreto legge dopo Pasqua che contenga misure di salvaguardia delle opere pubbliche in corso e che saranno bandite in futuro, misure di ristoro per il mercato privato allo scopo di non far saltare le imprese, misure di valorizzazione delle imprese qualificate.
Come vede questo 2022?
Difficile rispondere. Ultimamente abbiamo visto di tutto e di più. Nel 2019, dopo dodici anni di problemi enormi, pensavamo di essere usciti dal tunnel delle crisi finanziarie. Eravamo fiduciosi, ed è arrivato il Covid con rallentamenti e blocchi produttivi. Adesso sono arrivati l’inflazione, il caro energia, infine la guerra in Ucraina. È una lotta infinita. Da soli non possiamo vincere questa sfida. Abbiamo bisogno che lo Stato faccia la sua parte.
(Marco Biscella)
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