Martedì il Dipartimento del Labour of statics degli Stati Uniti ha diffuso il dato sull’inflazione tendenziale a marzo, risultato essere in aumento dell’8,5% per il paniere complessivo dei beni e dei servizi al consumo e del 6,5% per la componente core. Il consensus Bloomberg degli operatori di mercato stimava l’8,3% per il dato complessivo e il 6,6% per la componente core, mentre le stime da me condotte sono risultate in eccesso di un sensibile 0,4%, avendo predetto l’8,9-9% con valore minimo di intervallo dell’8,7%. A livello qualitativo, invece, la mia analisi, quantitativamente più imprecisa del consensus, è risultata più in linea con la dimensione di fondo di uno scenario in peggioramento marcato e non ordinato.
Tra le altre cose, nella giornata si sono avuti i tassi del Treasury Usa a 10 anni al valore massimo del 2,836% e quindi in aumento come da diversi anni non si vedeva, poi, il Dow Jones sostanzialmente e “pericolosamente” piatto, in quanto di fronte a dati inflattivi come quello odierno la presa di vendita sull’azionariato dovrebbe essere una delle prime valvole di controllo dell’intero sistema; inoltre, altrettanto importante la quotazione dell’oro che ha toccato i 1.978 dollari l’oncia come massimo almeno fino a una certa ora.
Si impongono immediate due riflessioni delle tante che verranno sviluppate :
– Si apprezza abbastanza agevolmente che la correlazione tra tassi di interesse e oro in senso inverso è regola operativa di breve periodo, ma nel medio orizzonte e con l’entrata in campo di variazioni esogene di ben altra portata si vede una volta per tutte la limitatezza di tale correlazione, la quale ha bisogno di un’enormità di situazioni per avere verifica, le quali situazioni non hanno il valore di condizioni necessarie.
– Il prezzo dell’oro a questi livelli di inflazione è anormalmente basso nei suoi già straordinari livelli; in sostanza, i poteri forti americani e occidentali stanno sudando sette camice per tenerlo imbrigliato; è da mesi che sostengo che prima della guerra effettiva era iniziata la guerra dell’oro con i due “compari di merenda” (Russia e Cina) a fare incetta di metallo per loro riserve delle loro banche centrali. Di fatto, se si utilizzasse la sola correlazione spuria e limitata del dato inflattivo di ottobre 2021 degli Stati Uniti al 6,2% con l’oro al prezzo di 1.877 dollari l’oncia come livello massimo raggiunto in quel momento, per proporzione si dovrebbe avere al momento un valore di 2.543 dollari l’oncia circa per rispettare tale proporzionalità.
– In più chiare lettere, sebbene imprecisa parziale e limitata, la correlazione sopra riportata ci dice che il valore dell’oro è anormalmente basso, o detto ancora meglio tenuto artificialmente troppo basso dal sistema americano e occidentale; tale conclusione oggi giorno però si ammanta di implicazioni politiche e di confronto strategico che sono diventate esplicite e cioè il rublo fissato all’oncia d’oro e di fatto e formalmente la prima crepa evidente al sistema dei pagamenti internazionali.
– In maniera analitica, se l’oro dovesse giungere a 2.600 dollari l’oncia significherebbe una svalutazione tale del dollaro statunitense che avrebbe due implicazioni fortissime, una immediata e l’altra di medio periodo; l’implicazione di brevissimo periodo sarebbe la certificazione iconica di una svalutazione tale della divisa statunitense che implicherebbe un’inflazione interna non sotto il 13-14%, mentre l’implicazione di medio periodo sarebbe la perdita dello status di valuta di riserva mondiale conclamata.
Infatti, aver accennato all’inizio di questo intervento al Dow Jones piatto e poco mosso serve a mettere in luce come l’attuale dimnesione finanziarizzata degli eventi continua a non mostrare segni di crisi, sebbene il mondo è entrato nello scontro strategico conclamato tra le due superpotenze degli Stati Uniti e della Russia e la tragica e ingombrante guerra in Ucraina, in quanto ancora il mondo finanziario globale e soprattutto occidentale considera la divisa cartacea dollaro alla stregua di una vera e propria materia prima.
Però gli eventi da anni oramai, e soprattutto con l’accelerazione dal 2020 in avanti, a causa del Covid e poi dell’inasprimento esplosivo del latente conflitto con la Russia, stanno mettendo in luce che il dollaro statunitense non è più in grado di dare il valore all’economia mondiale; c’è insomma all’orizzonte più o meno breve un evento della portata dell’agosto del 1971, quando venne censita da Nixon la non mantenibilità della convertibilità di 35 dollari a oncia d’oro; questo evento si verificò perché la valuta americana non era più in grado di controllare e ordinare la ricchezza e la produzione mondiali; in seguito, grazie a un andamento a gomito degli eventi storici, e stiamo cioè parlando della dissoluzione dell’Unione Sovietica, il dollaro riacquisì nuova forza e ancora meglio una forza del tutto nuova: divenne la valuta mondiale di riferimento, svalutata sì e di molto rispetto all’oro, ma molto più operativa e utilizzabile del metallo prezioso per gli scambi e gli affari speculativi.
Cioè, l’oro veniva posto come in un sancta sanctorum come custode lontano degli equilibri più profondi del pianeta; veniva di fatto delegato il dollaro statunitense come suo emissario e ambasciatore nel mondo moderno, anzi nel mondo 2.0.
Di fatto, questo schema replicava il gold standard nel senso che comunque i fenomeni inflattivi erano difficili se non quasi impossibili a scatenarsi; se infatti tutti domandano dollari, anche per le cose più astruse e nelle modalità più problematiche (leggasi derivati e poi da ultimissimo le criptovalute), anche se ci sono risorse in quantità gigantesche da acquisire e da pagare, così come i beni di consumo e i semilavorati di ogni grado e distinzione, con questo telaio di fondo i prezzi non saliranno mai; ma sarebbe scorretto non inserire l’altro grande alleato della forza del dollaro statunitense e cioè la tecnologia e soprattutto quella informatica; di certo tutti sapranno che le maggiori aziende informatiche del pianeta sono statunitensi e di più va detto che sono le più grandi aziende attuali del pianeta per capitalizzazione.
Fatte tutte queste evidenziazioni, si può capire come il cerchio si chiude per gli Stati Uniti: un dollaro universale e forte – tanto da essere considerato come una materia prima, e cioè quella stessa che rappresenta in multipli cartacei giganteschi, parliamo dell’oro beninteso – compra alla nazione tutti i beni del mondo a costi bassissimi che poi vengono amplificati come dinamica dall’utilizzo di una sorprendente tecnologia, quella informatica, che è pressapoco un evento misterico per la storia dell’umanità.
La bassa inflazione dei 30 anni dell’impero americano – 1989-2020 – è stata dovuta all’egemonia finanziaria, tecnologica, informatica e informativa che gli Stati Uniti hanno esercitato; va considerato a parte l’addentellato militare e nucleare, aspetto alla fine più esiziale di tutti. A mio parere pertanto, si era stabilito un accordo tacito mellifluo pericoloso e pericolante tra Stati Uniti e Russia che si avviava a sorgere dalle ceneri dell’Unione Sovietica: benessere e crescita economica per una nuova Russia in cambio della sua delega implicita a lasciare agli Stati Uniti le redini del governo mondiale per tutti gli aspetti di fondo più importanti.
È per tale verso che in maniera eclatante si può affermare che l’inflazione di questo periodo e da ultimo quella del dato di marzo informa il mondo intero che tale accordo si è rotto e si è frantumato in profondità; del resto le immagini specifiche e parcellizzate del momento sono innumerevoli: guerra in Ucraina, sanzioni, materie prime non più disponibili, l’affaire gas russo per l’Europa, il tentativo di riachimare all’ordine Cina e India, la paura per le probabili crisi alimentari in Africa, ecc.
Un’ultima analisi critica è poi la seguente: trovo la distinzione tra dato inflattivo generale e core, una distinzione spuria e spocchiosa, priva di qualsiasi valore scientifico, così come la decantata regola di Taylor per regolare i tassi federali al fenomeno inflattivo; la risposta personale a tali pseudo regole e distinzioni è dovuta al fatto del pragmatismo brevi manu degli americani e del loro potere universale invece di tenore mondiale; in sostanza, tutte le amenità del potere costituito hanno la dignità di rivelazioni e scoperte nuove, quando invece al contrario, c’è un giudice che prima o poi mette il giusto giudizio a ogni evento: la Storia. La Storia che oggi ha dato mandato a due delle sue ancelle più terribili e risolutive dei problemi di fare chiaro a tutto il mondo cosa c’è in gioco e qual è il gioco: guerra e inflazione.
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