Sono due le partite che il centrodestra sta giocando sul terreno del governo Draghi. Il centrodestra di governo, Lega e Forza Italia, ha incontrato il presidente del Consiglio e ha raggiunto una tregua nella contrapposizione sulla delega fiscale. Non la si può chiamare intesa: Matteo Salvini e Antonio Tajani per il momento hanno deposto le armi in attesa che Mario Draghi confermi le promesse fatte, cioè che la riforma del sistema impositivo si chiuderà effettivamente senza aumenti di tasse.
È una pausa di attendismo seguita però a un dialogo. Fratelli d’Italia non ha accolto questo passaggio con grandi entusiasmi. Il partito di Giorgia Meloni avrebbe preferito che leghisti e azzurri restassero sulla linea della contrapposizione dimostrando che la coalizione sui temi di fondo resta unita. Ma a difendere queste posizioni la Meloni ha mandato avanti le seconde file del partito. Lei ha preferito non calcare la mano. Come non è andata sopra le righe con Luciano Canfora che l’ha definita “neonazista nell’anima”.
In realtà, la leader di Fratelli d’Italia sta giocando una partita tutta sua. È la corsa all’accreditamento con i poteri che contano davvero, la stessa che Salvini sembra avere fallito. Non passa giorno senza che qualche giornale stenda un tappeto rosso sotto i suoi piedi. L’ultimo è stato il Domani di Carlo De Benedetti, che ha dedicato un’intera pagina alla Meloni elogiando il fatto che si stia muovendo “con grande abilità” e abbia costruito un consenso “su visione e capacità politica”. In precedenza era stato il filogovernativo Il Foglio a concedere ampio spazio alla Meloni in cui replicare al manifesto in sette punti sull’Europa del futuro redatto da Enrico Letta. Una lenzuolata degna di un congresso di partito o di un vertice di Cernobbio.
L’Huffington Post (gruppo Repubblica–Stampa) ha poi sottolineato questo passaggio della Meloni nel lungo testo consegnato al Foglio: “C’è più di un punto di contatto fra il pensiero di Enrico Letta e il mio”. Il vero punto di contatto è uno: l’atlantismo spinto di Fratelli d’Italia. Nello scacchiere della guerra in Ucraina il partito è nettamente dalla parte di Joe Biden. Svincolata dai pregressi rapporti con Mosca che hanno indebolito Salvini, la Meloni si è immediatamente schierata con il “fronte occidentale” e ha mantenuto la posizione con forza. Se Letta guida quello che ormai è l’omologo – oltre che nel nome, sempre più anche nei contenuti (a partire dai diritti civili) – del partito democratico Usa, la Meloni punta a trasformarsi nella succursale italiana del partito repubblicano: conservatorismo e contrapposizione ai democratici su tutto, tranne che nella collocazione internazionale che unisce il popolo americano.
Giorgia Meloni ha capito da tempo che, se vuole andare al governo, deve farsi accreditare presso i poteri forti, Europa e Stati Uniti. Per lei il conflitto scatenato dalla Russia è l’occasione per consolidare il posizionamento atlantico, pro Nato e pro armi. Il suo obiettivo non è offrire una sponda a Letta per un’inedita versione di un patto tra destra e sinistra: Fratelli d’Italia ha sempre detto che non governerà mai con il Pd e non metterà a repentaglio la bandiera identitaria della coerenza. La sua partita è volta a rassicurare Bruxelles e Washington, a fare capire che lei non è ondivaga come Salvini, al quale ha perfino lasciato l’esclusiva dell’appoggio a Marine Le Pen in Francia.
Con una conseguenza, però. Forse imprevista, ma subito accettata, per ragioni di potere. Dalla Meloni non si sono nemmeno levati dubbi per le sanzioni alla Russia, che si stanno rivelando distruttive per le imprese italiane. Un vero Draghi in gonnella.
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