C’è un’unica domanda da porsi adesso: quali armi hanno consentito l’affondamento dell’incrociatore Moskva? Perché Mosca è stata chiara, sempre più chiara: i carichi di armamenti occidentali all’Ucraina sono bersagli militari legittimi, ovunque vengano intercettati. Ora quindi c’è da capire quanto Vladimir Putin intenda accettare a livello di smacco politico e di logistica nell’offensiva su Odessa in vista della grande parata sulla Piazza Rossa del 9 maggio, data della vittoria sul nazifascismo che quest’anno assume simbologia e valore senza precedenti. Quanto il Cremlino può mettere in conto di perdere a livello di sostegno popolare, forte com’era fino alla scorsa settimana di un 83% riconosciuto persino dagli istituti demoscopici occidentali?
Gran parte di quella fiducia era basata essenzialmente sul fallimento ormai palese delle sanzioni sull’economia russa e sulla vita di tutti i giorni dei cittadini, dopo il grande spavento di inizio marzo con le code ai bancomat e il rublo in caduta libera. Il ricatto energetico, dal canto suo, resiste. Anzi, il plateale attacco del Presidente Zelensky contro Germania e Ungheria per il loro veto sull’embargo a gas e petrolio in sede Ue parla chiaramente la lingua di un ulteriore rafforzamento di quell’arma strategica, capace di garantire a Mosca un surplus senza precedenti. Ora però occorre aspettare. E capire. Perché l’affondamento del Moskva e la contemporanea fuga in avanti di Finlandia e Svezia rispetto all’adesione alla Nato rappresentano due elementi nuovi. E in grado di operare da game changer. Non a caso, la Russia ha alzato i toni verso i Paesi del Baltico, parlando di uno status di neutralità nucleare impossibile da pretendere dopo questa decisione.
Insomma, la guerra è a un passo dall’entrare in casa europea. Diciamo che, utilizzando una metafora, oggi è con i piedi sul tappetino dell’ingresso. E sta decidendo se pulirsi le scarpe e suonare educatamente il campanello, in modo da avvertire di un suo arrivo. O sfondare la porta. Oltretutto con le scarpe infangate dall’oltraggio militare nel Mar Nero. In questo secondo caso, il rischio è quello di un attacco russo a un convoglio di armi verso l’Ucraina su territorio Ue. O, quantomeno, Nato. E gli Stati Uniti nel confermare un ulteriore stanziamento bellico per Kiev di 800 milioni di dollari, hanno fornito anche una data: armi a destinazione entro sette giorni. Da qui alla prossima settimana, insomma, c’è il forte rischio di missili russi che vadano oltre il range attuale di azione. A quel punto, l’attivazione dell’articolo 5 della Nato sarebbe a un passo. Così come l’escalation del conflitto.
Dio non voglia. Ma in tanti, troppi stanno soffiando sul fuoco. E questo grafico mostra come se Vladimir Putin tenti di preservare con tutte le forze il suo 83% di consensi, dall’altra parte dell’Atlantico l’inquilino della Casa Bianca a sette mesi dal voto di mid-term si trovi costretto a dare risposta a un interrogativo politicamente drammatico: può un rating di fiducia andare in negativo? E con quali conseguenze immediate?
Piaccia o meno, questo è un elemento con cui fare i conti. Perché l’America è alla vigilia del voto con un’inflazione all’8,5%, massimo dal 1981. E, soprattutto, con un mercato che solo nella settimana che si è conclusa ieri ha dovuto fare i conti con una dinamica simile: questa è la volatilità a sette giorni registrata dal bond sovrano statunitense a 2 e 10 anni, un qualcosa che normalmente avrebbe portato con sé una chiara indicazione di rischio e la sua altrettanto netta corrispondenza con un ristretto novero di cause.
Oggi appare impossibile dare un senso a quanto sta accadendo. Perché quel tipo di schizofrenia sui rendimenti è in azione prima ancora che la Fed abbia oggettivamente dato vita in maniera concreta all’accelerazione nella riduzione del suo stato patrimoniale: di fatto, solo giovedì il decennale ha preso 19 punti base in un giorno. Quei movimenti sembrano parlare chiaro: il mercato è in preda a una crisi di liquidità epocale. Ma, appunto, senza che la Banca centrale Usa abbia davvero posto in essere mosse draconiane di quantitative tightnening. Per ora, solo parole. E annunci. Cosa sta succedendo? Quanta immondizia ormai in fase di tracimazione esiste nei Level 3 bancari mondiali, per rendere accettabile (se non necessaria) addirittura l’ipotesi di escalation nucleare su larga scala?
Il tutto mentre l’unico reale market mover sembra l’Opa di Elon Musk su Twitter, il medesimo social che gli ha garantito di diventare l’influencer numero uno della finanza e l’uomo in grado di generare short squeezes epocali a comando con un solo emoticon postato in Rete. Ora il guru di Tesla ha capito che non gli basta più utilizzare quel social per interessi di cassa e profilo mediatico, ora vuole acquistarlo per – udite udite – garantirgli una governance di mercato e un reale approccio democratico nella possibilità di utilizzo. Un mitomane assoluto sta per regalarsi un giochino da 42 miliardi di dollari con cui veicolare consenso e influenza a livello planetario: questa sarebbe democrazia? Questo sarebbe il tipo di libero mercato e libera società che dovrebbe contrapporsi alle autocrazie russa e cinese? Ma, soprattutto, è in nome di questo tipo di capitalismo da capitani di ventura, da anime nere in abito rosa chiamate a governare il caos che Usa e Ue parrebbero pronte a correre il rischio di missili a testata nucleare che solcano i cieli?
Apparentemente, sì. E proprio questa predisposizione folle dovrebbe farci capire quali siano in realtà gli interessi in gioco dietro all’ossessione mediatica ed emotiva e al voyeurismo da Grand Guignol delle stragi quotidiane in Ucraina, più o meno veritiere che siano, chiunque ne sia il responsabile reale e diretto. Finora non mi ero mai preoccupato per un epilogo simile. Anzi, lo ritenevo totalmente impossibile. Ora però la posta si sta alzando. E la tensione pure.
Gli interessi contrapposti stanno per raggiungere un punto di non ritorno che potrebbe contemplare l’insondabile: l’Europa, quasi in preda a un attacco di fervore indotto da doping bellico, pare non rendersi conto che Washington può giocare questa partita letale e irresponsabile partendo dal presupposto che – se si arriverà alla suprema reazione russa – questa si sostanzierà geograficamente su territorio europeo. Detto brutalmente, saremo colpiti noi. E prima che l’escalation divenga da Dottor Stranamore globale, si arriverà a una tregua che, però, contemplerà un cambio di equilibri ineluttabile per il Vecchio Continente. Una nuova realtà. Un nuovo sistema. Una minaccia nucleare permanente nel Baltico, di fatto un nuovo Muro di Berlino. La lunga guerra che la Nato starebbe cercando, come denunciato da Vladimir Putin nel suo discorso di estremo avvertimento all’Europa, quello relativo all’insostituibilità del gas russo.
Si cominciò con Al Qaeda, ormai 21 anni fa. Poi i talebani, poi lo Stato islamico e la Siria, l’offensiva in Europa con la strage del Bataclan, la minaccia della Nord Corea, la guerra commerciale, il Russiagate e le presunte interferenze del Cremlino nella politica occidentale fino al Covid. Ora la contrapposizione sta raggiungendo il punto di non ritorno: occorre una nuova Guerra Fredda permanente, la madre di tutte le emergenze. Perché il sistema criminale di debito e Banche centrali sta saltando. E fra due guerre, pare che i potenti preferiscano ancora una volta quelle in cui muoiono i poveracci. Tanto basta ammantarle di profondi valori in difesa della democrazia per renderle social, accettabili e non moralmente delegabili. E farci mettere al bavero la spilletta giallo-blu, quasi un bersaglio per freccette. A nostra insaputa.
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