“Disarma la mano alzata del fratello contro il fratello”. Queste il forte richiamo di Papa Francesco la sera del 15 aprile, in occasione della Via Crucis al Colosseo. La sua preghiera completa: “Signore, converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace; porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove c’è l’odio fiorisca la concordia”.
Il momento più atteso e commovente quando Irina, infermiera ucraina, e Albina, specializzanda russa, due amiche che lavorano a Roma nella stessa struttura sanitaria, alla XIII stazione hanno portato insieme la Croce, nonostante le polemiche sollevate. Ma lo hanno fatto in silenzio. Non è stata letta la loro testimonianza, già preparata, sostituita da un breve testo: “Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole: sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace nel mondo”.
Addolora che la Via Crucis non sia stata seguita in diretta dai media cattolici ucraini, per protesta contro la presenza di una giovane russa. In realtà in quei pochi minuti le due ragazze hanno mostrato al mondo che la pace, la riconciliazione, sono possibili proprio a partire dalla Croce di Cristo. La condanna dei sanguinosi conflitti sparsi nel mondo e l’impegno per la ricerca di soluzioni pacifiche hanno segnato dall’inizio il magistero di Bergoglio. L’invasione dell’Ucraina e la drammatica escalation bellica cui stiamo assistendo, nella pressoché totale assenza di seri tentativi per far cessare le ostilità, hanno offerto lo spunto al Pontefice per riunire in una sorta di antologia i suoi interventi più significativi al riguardo, tratti da encicliche, discorsi, udienze, messaggi, omelie e altri documenti del pontificato. La raccolta, intitolata Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace, è una coedizione Libreria Editrice Vaticana-Solferino ed è disponibile in edicola in abbinamento con il Corriere della Sera.
Si tratta di un’articolata e documentata riflessione che, partendo dalle tragedie dei nostri giorni, riprende e attualizza l’insegnamento più recente della Chiesa sul tema della pace. Non mancano infatti riferimenti puntuali alla Pacem in terris di Giovanni XXIII e a interventi di Paolo VI e Giovanni Paolo II (tre papi santi!), oltre che del papa emerito Benedetto XVI. Dal canto suo Francesco riprende in particolare i suoi discorsi pronunciati nei viaggi apostolici in Giappone (23-26 novembre 2019) e in Iraq (5-8 marzo 2021) e diversi passaggi dell’enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020). Nell’introduzione, scritta ad hoc e con la data del 29 marzo 2022, quattro giorni dopo la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria di Ucraina e Russia, Francesco mostra il suo stupore per una guerra inattesa “scoppiata vicino a noi”, che colpisce “tanti civili innocenti, tante donne, tanti bambini, tanti anziani”, e offre la chiave di lettura della sua posizione: no alla guerra, alimentata dal riarmo; sì alla pace, che nasce dal dialogo e dal perdono.
In un contesto in cui la mentalità prevalente va da tutt’altra parte, incurante degli scenari apocalittici che si stanno profilando all’orizzonte, Francesco non lesina espressioni dure, per scuotere dal torpore l’opinione pubblica e vincere l’assuefazione alla violenza che si sta imponendo. “Con il cuore straziato per quanto accade in Ucraina”, afferma con nettezza che “la guerra è una pazzia, la guerra è un mostro, la guerra è un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra: la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato”. Soprattutto “la guerra non è la soluzione” e “non è ineluttabile”. Riprendendo i tanti appelli di Wojtyła, ricorda che la guerra è “un’avventura senza ritorno”, come la definì nel 1991 il papa polacco. Di più: “Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male”, che ha come esito “un futuro di morte per i nostri figli e i nostri nipoti”.
Se è vero che “con la guerra tutto si perde” e “non c’è vittoria in una guerra, tutto è sconfitto”, perché non ce ne rendiamo conto? “Abbiamo memoria corta. Se avessimo memoria, ricorderemmo che cosa i nostri nonni e i nostri genitori ci hanno raccontato” e “non spenderemmo decine, centinaia di miliardi per il riarmo, per dotarci di armamenti sempre più sofisticati, per accrescere il mercato e il traffico delle armi”, fidando solo nella “potenza degli armamenti”.
Da qui, il grido del Papa “di fronte alle immagini strazianti che vediamo ogni giorno”: “Fermatevi!”. E ancora: “Tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza”. Infatti “chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere”. Chi punta sulla “logica diabolica e perversa delle armi”, sostiene “un’ideologia bellica che dimentica l’incommensurabile dignità della vita umana, di ogni vita umana, e il rispetto e la cura che le dobbiamo”.
La denuncia è chiara: “Si continua a governare il mondo come uno ‘scacchiere’, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri”. Come uscirne? Non con “altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari”, ma con “un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo”. Soprattutto pensando ai giovani e ai più piccoli “dobbiamo ripetere insieme: mai più la guerra”. E nello stesso tempo “impegnarci a costruire un mondo […] dove a trionfare sia […] il perdono reciproco e non l’odio che divide e che ci fa vedere nell’altro, nel diverso da noi, un nemico”. Dobbiamo essere consapevoli che “la guerra, prima che arrivi al fronte, va estirpata nei cuori […] prima che sia troppo tardi […]. E per farlo c’è bisogno di dialogo, di negoziato, di ascolto, di capacità e di creatività diplomatica, di politica lungimirante capace di costruire un nuovo sistema di convivenza che non sia più basato sulle armi, sulla potenza delle armi, sulla deterrenza”. Le guerre si fermano solo se smettiamo di “alimentarle”.
Quindi “la vera pace può essere solo una pace disarmata”. E significa accoglienza, collaborazione, educazione, ma soprattutto perdono. È la cosa più difficile, perdonare. E qui Francesco pone un interrogativo decisivo: “Noi preghiamo per quelli che ammazzano i bambini nella guerra?”. Non è per niente facile, “ma dobbiamo imparare a farlo. Perché si convertano”. Ci è chiesto “di abbandonare il desiderio di dominare gli altri e imparare a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli”. Come ha fatto Gesù con noi. Dall’alto della Croce.
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