Secondo quanto si osserva sul campo e stando alle dichiarazioni russe, è cominciata la “madre di tutte le battaglie”, la temuta offensiva totale sul Donbass. Secondo quanto comunicato dall’agenzia di informazioni Tass, “l’esercito russo sta attuando sistematicamente il piano per la liberazione delle repubbliche di Donetsk e Lugansk”.
Lo ha affermato il ministro della Difesa russo, Sergej Shoigu, durante la riunione del consiglio del ministero della Difesa. “Un fronte complessivo di 480 chilometri” ci ha detto in questa intervista il generale Giorgio Battisti, già comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan, “dove si trova il 40% delle forze armate ucraine, quelle meglio addestrate perché operative lì da otto anni, dal 2014, dove hanno costruito un sistema di fortificazioni tale da rendere molto difficile l’offensiva russa”.
Obiettivo numero uno di Mosca rimane la caduta di Mariupol, dove le ultime forze ucraine sono asserragliate nell’acciaieria Azovstal: “Per i russi è obbligatorio ottenere la conquista della città per poter annunciare almeno un obbiettivo vittorioso dopo oltre cinquanta giorni di guerra”.
È davvero cominciata l’offensiva finale delle truppe russe in Donbass?
Dire offensiva finale è forse prematuro, bisogna vedere cosa succede. Stando a quello che riportano entrambe le fonti, ci potrebbe essere questo attacco, già comunque preannunciato dallo Stato maggiore russo, per conquistare tutto il Donbass. Il lancio di missili su varie città ucraine con il fuoco dell’artiglieria a lungo raggio e l’uso dell’aviazione per i bombardamenti al suolo lascerebbe presagire una preparazione dell’offensiva, che potrebbe partire da Kharkiv fino a Mariupol e a Kherson: in tutto si tratta di un fronte lungo circa 480 chilometri.
Siamo quindi ancora in una fase preliminare dell’offensiva finale?
Sì. Bisogna anche tener conto se questa offensiva si svilupperà solo sul Donbass o anche con attacchi secondari in altre parti del fronte per tenere impegnate le forze ucraine. Ci sono al momento in corso combattimenti terrestri per occupare villaggi su tutta la linea del fronte.
Intanto è stata bombardata anche Leopoli, dove si sono registrate le prime vittime da quando è cominciato il conflitto. Anche questi bombardamenti fanno parte della strategia russa?
Leopoli, da quanto sappiamo, è il punto di arrivo degli equipaggiamenti forniti dall’Occidente. I bombardamenti, ormai su tutto il territorio ucraino, hanno un duplice scopo: da un lato, colpire le basi di rifornimento e i depositi di armi; dall’altro, creare una forte pressione psicologica sulla popolazione, facendola sentire come se non ci fosse alcun posto dove essere al sicuro.
A Mariupol lo stato maggiore russo ha lanciato un ultimatum agli ultimi resistenti ucraini asserragliati nell’acciaieria Azovstal. È destinata a diventare una nuova Stalingrado?
Mariupol è già una nuova piccola Stalingrado. Sono cinquanta giorni che gli ucraini resistono in una acciaieria formata da tantissimi fabbricati e strutture che possono offrire buone possibilità di riparo. Si parla dell’esistenza di tunnel a più strati, costruiti ai tempi dell’Unione Sovietica, perché pensati per continuare a produrre sotto terra anche in caso di eventuali attacchi. Oggi è diventata il simbolo della resistenza ucraina. Poche migliaia di uomini possono tenere in scacco forze superiori, appoggiandosi alle rovine di queste strutture. D’altra parte, i russi hanno bisogno di eliminare questa resistenza per poter dire di aver avuto un grande successo prima del 9 maggio. E poi per liberare truppe da poter impiegare altrove.
Nelle province di Lugansk e Donetsk è presente almeno il 40% dell’esercito ucraino. La resistenza sarà dunque molto strenua?
Le forze migliori e più combattive sono attestate nel Donbass. In questi otto anni, dal 2014, hanno avuto modo di realizzare fortificazioni tali da poter rendere impervia e difficile l’avanzata russa. C’è sempre la possibilità che da Kharkiv, a nord, e da Mariupol, a sud, possa partire un duplice attacco con l’intento di chiudere queste forze in una grande sacca, così da neutralizzarle.
A questo punto, la Nato potrebbe o dovrebbe cambiare strategia nel suo appoggio a Kiev?
Dal punto di vista strategico no: la Nato, stando a quanto dichiarato dal suo segretario generale e stando anche a quanto ribadito da Biden, non ha intenzione di impegnarsi direttamente nel conflitto. Continuerà a fare quanto fatto finora, inviando armi ed equipaggiamenti.
Sembra che ogni ipotesi di trattativa sia ormai definitivamente tramontata. Sarà una lotta senza quartiere?
Sembra di capire che non ci sia volontà di arrivare a una tregua o a un cessate il fuoco. Gli ucraini si sono rincuorati, vista la loro capacità di contenere l’avanzata russa. E i russi, che non hanno ancora ottenuto niente di concreto sul terreno, devono conquistare qualcosa per arrivare a un tavolo di trattativa. È un durissimo braccio di ferro.
(Paolo Vites)
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